07 luglio 2006
Aggiornamenti e focus
Palpitazioni da sovrappeso
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Palpitazioni, tecnicamente tachicardia, nello specifico fibrillazione atriale, parolone via via meno poetiche per indicare un'accelerazione del battito cardiaco. Normalmente il cuore batte con 60-80 pulsazioni al minuto, quando si verifica una fibrillazione atriale, la frequenza può arrivare a 300-600 battiti al minuto, chiaramente non senza conseguenze, e la prima è una perdita di efficienza nel pompare il sangue fuori dal cuore. A ogni battito cardiaco, quindi, residui di sangue potrebbero restare negli atri, ristagnare e nel tempo formare coaguli e, in ogni caso, si abbassa la quantità di sangue ossigenato in circolazione. Inevitabile che chi soffre di questa aritmia ha un rischio cinque volte più alto di andare incontro a ictus.
Farmaci per curare il disturbo ce ne sono, ma sull'efficacia della loro azione possono pesare alcuni fattori di rischio. E l'obesità è uno di questi. Già riconosciuto come fattore di rischio per l'insorgenza del fenomeno patologico, in realtà modula anche il rischio di ricorrenza in pazienti che abbiano già avuto la diagnosi di fibrillazione atriale, persistente o parossistica, cioè breve ed episodica. Questa circiostanza è stata confermata in uno studio di comparazione tra tre farmaci normalmente usati per trattare soggetti con aritmie: amiodarone, propafenone e sotalolo, somministrati al 62%, al 28% e al 21% del campione, rispettivamente. L'obiettivo era verificare quanto tempo passava prima che si verificasse nuovamente un'aritmia più lunga di 10 minuti in 61 pazienti. Nel 43% dei pazienti la ricaduta si verificava in media dopo circa quattro mesi e mezzo. Vale a dire che nonostante l'avvio al trattamento ottimale c'era una variabilità dei risultati, e poiché il valore medio dell' indice di massa corporea (BMI) era 29 il sospetto che l'obesità giocasse un ruolo importante, ai ricercatori è venuto.
Infatti analizzando la possibile associazione si osservava che un BMI pari a 27 era la soglia oltre la quale aumentava il rischio che si ripetesse la fibrillazione durante il periodo di monitoraggio (14 mesi circa). Inoltre, anche considerando altri fattori di rischio, l'indice superiore a 27 rimaneva un predittore indipendente di ricorrenza. Il rischio era quasi triplo e, considerando che esiste la possibilità di intervenire per modificarlo, andrebbe trattato con strategie mirate. Anche perché altri possibili fattori che contribuiscono all'insorgenza dell'aritmia, possono essere la dieta, l'apnea notturna e il tono del sistema nervoso autonomo (che controlla gli organi vitali), elementi che caratterizzano il quadro clinico di una persona obesa.Oltre a confermare un sospetto, i risultati ottenuti forniscono una proiezione di come si potrebbe estendere il fenomeno dal momento che negli Stati Uniti il tasso di obesità dovrebbe raddoppiare entro il 2050. Non è un caso, quindi che anche i casi di fibrillazione atriale siano in aumento nella popolazione americana. Non ci sono ancora studi focalizzati sull'effetto del calo di peso corporeo (il che la dice lunga su quanto si sta investendo sulla prevenzione del problema) tuttavia sono noti casi in cui i pazienti che perdevano peso beneficiavano di una riduzione della fibrillazione, e al momento questo rimane la strategia principale per gestirli.
Simona Zazzetta
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Ricadute nonostante il farmaco
Farmaci per curare il disturbo ce ne sono, ma sull'efficacia della loro azione possono pesare alcuni fattori di rischio. E l'obesità è uno di questi. Già riconosciuto come fattore di rischio per l'insorgenza del fenomeno patologico, in realtà modula anche il rischio di ricorrenza in pazienti che abbiano già avuto la diagnosi di fibrillazione atriale, persistente o parossistica, cioè breve ed episodica. Questa circiostanza è stata confermata in uno studio di comparazione tra tre farmaci normalmente usati per trattare soggetti con aritmie: amiodarone, propafenone e sotalolo, somministrati al 62%, al 28% e al 21% del campione, rispettivamente. L'obiettivo era verificare quanto tempo passava prima che si verificasse nuovamente un'aritmia più lunga di 10 minuti in 61 pazienti. Nel 43% dei pazienti la ricaduta si verificava in media dopo circa quattro mesi e mezzo. Vale a dire che nonostante l'avvio al trattamento ottimale c'era una variabilità dei risultati, e poiché il valore medio dell' indice di massa corporea (BMI) era 29 il sospetto che l'obesità giocasse un ruolo importante, ai ricercatori è venuto.
Soglia di peso
Infatti analizzando la possibile associazione si osservava che un BMI pari a 27 era la soglia oltre la quale aumentava il rischio che si ripetesse la fibrillazione durante il periodo di monitoraggio (14 mesi circa). Inoltre, anche considerando altri fattori di rischio, l'indice superiore a 27 rimaneva un predittore indipendente di ricorrenza. Il rischio era quasi triplo e, considerando che esiste la possibilità di intervenire per modificarlo, andrebbe trattato con strategie mirate. Anche perché altri possibili fattori che contribuiscono all'insorgenza dell'aritmia, possono essere la dieta, l'apnea notturna e il tono del sistema nervoso autonomo (che controlla gli organi vitali), elementi che caratterizzano il quadro clinico di una persona obesa.Oltre a confermare un sospetto, i risultati ottenuti forniscono una proiezione di come si potrebbe estendere il fenomeno dal momento che negli Stati Uniti il tasso di obesità dovrebbe raddoppiare entro il 2050. Non è un caso, quindi che anche i casi di fibrillazione atriale siano in aumento nella popolazione americana. Non ci sono ancora studi focalizzati sull'effetto del calo di peso corporeo (il che la dice lunga su quanto si sta investendo sulla prevenzione del problema) tuttavia sono noti casi in cui i pazienti che perdevano peso beneficiavano di una riduzione della fibrillazione, e al momento questo rimane la strategia principale per gestirli.
Simona Zazzetta
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