07 luglio 2006
Aggiornamenti e focus
Più cardiopatie più mortalità
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Che il sovrappeso e l’obesità continuino ad avanzare in molte nazioni tra cui la nostra, e persino tra i bambini, è una facile constatazione, confermata dall’epidemiologia, ma il paese che sembra emblematico per questo crescente problema di salute pubblica sono gli Stati Uniti, esempio delle conseguenze che possono derivare principalmente da stili di vita insalubri. Basti dire che Oltreoceano tra il 1986 e il 2000 la prevalenza dell’obesità di grado 1, con indice di massa corporea (BMI) tra 30 e 35 è raddoppiata, ma per quella estrema cioè con BMI di 40 o più è quadruplicata e per il BMI oltre 50 è aumentata di cinque volte. L’incremento del fenomeno appare più marcato nel sesso femminile, oltre che tra gli afroamericani, ed è proprio riferendosi alle donne e in relazione all’etnia che uno studio ha voluto approfondire come cambino il rischio e la mortalità cardiovascolare attraverso le diverse classi di incremento ponderale, in particolare in quello estremo, partendo dai dati acquisiti di una maggiore probabilità di morte e di una minore qualità di vita nelle persone con forte eccesso ponderale.
Per la ricerca epidemiologica, coordinata da autori dell’Università di Pittsburgh, sono state selezionate oltre 90 mila donne tra 50 e 79 anni, reclutate in 40 centri partecipanti al noto studio osservazionale Women’s Health Iniziative, che presentavano un BMI di almeno 18,5 e stratificate in cinque categorie ponderali (da peso normale a obesità estrema), di varia etnia (bianca, afro, ispanica, asiatica, nativoamericana), analizzate per fattori di rischio come fumo, sedentarietà, ipertensione o diabete e seguite in un follow-up di sette anni rispetto all’insorgenza di cardiopatie e alla mortalità correlata. La prevalenza dell’obesità estrema, quella con BMI da 40 in su, si è confermata maggiore tra le donne nere, con il 9,6% e minore tra le asiatiche, con lo 0,9%; come prevedibile più saliva la categoria di peso più scendevano i livelli d’istruzione e di attività fisica, mentre crescevano l’ipertensione, il diabete, l’iperlipidemia e le diagnosi di cardiopatie.
Fatti gli aggiustamenti statistici (per età, istruzione, fumo, attività fisica, ecc) l’analisi ha mostrato che tutte le classi di obesità, ma non il soprappeso, definito dal BMI tra 25 e 30, erano significativamente associate all’incremento di mortalità per tutte le cause sia per le donne bianche sia per le nere (questo il confronto effettuato per la mortalità), che è apparso in gran parte legato alla presenza basale di ipertensione, diabete o iperlipidemia; considerando però l’età nelle più anziane il rischio era minore. Anche l’incidenza delle coronaropatie cresceva con l’aumento ponderale, indipendentemente dall’etnia, e questo appariva già per il sovrappeso.
Gli stessi autori sottolineano che, considerando la morbilità e la mortalità associate alle coronaropatie, è probabile che i sette anni di follow-up fossero insufficienti per evidenziare i rischi per la salute esistenti in realtà a partire dal sovrappeso. E aggiungono che, dal momento che gran parte del rischio cardiaco si lega a diabete, ipertensione e iperlipidemia, questo enfatizza l’importanza di diagnosticare e trattare aggressivamente tali condizioni nell’obeso. I dati, concludono, fanno ritenere che l’escalation di obesità estrema possa esacerbare gli effetti per la salute pubblica e la relativa spesa sanitaria; comunque non si può considerare l’obesità come una categoria omogenea con un pericolo definito per la salute, perché questo varia a seconda di vari elementi, per esempio il grado di eccesso ponderale, la sua distribuzione corporea (com’è noto è più pericoloso quello addominale), l’età del soggetto e la presenza di fattori che favoriscono lo sviluppo di cardiopatie: ciò richiede un’individuazione più accurata dei rischi e dei benefici degli interventi per perdere peso nelle specifiche classi di obesità.
Elettra Vecchia
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Il rischio cresce con il sovrappeso
Per la ricerca epidemiologica, coordinata da autori dell’Università di Pittsburgh, sono state selezionate oltre 90 mila donne tra 50 e 79 anni, reclutate in 40 centri partecipanti al noto studio osservazionale Women’s Health Iniziative, che presentavano un BMI di almeno 18,5 e stratificate in cinque categorie ponderali (da peso normale a obesità estrema), di varia etnia (bianca, afro, ispanica, asiatica, nativoamericana), analizzate per fattori di rischio come fumo, sedentarietà, ipertensione o diabete e seguite in un follow-up di sette anni rispetto all’insorgenza di cardiopatie e alla mortalità correlata. La prevalenza dell’obesità estrema, quella con BMI da 40 in su, si è confermata maggiore tra le donne nere, con il 9,6% e minore tra le asiatiche, con lo 0,9%; come prevedibile più saliva la categoria di peso più scendevano i livelli d’istruzione e di attività fisica, mentre crescevano l’ipertensione, il diabete, l’iperlipidemia e le diagnosi di cardiopatie.
Fatti gli aggiustamenti statistici (per età, istruzione, fumo, attività fisica, ecc) l’analisi ha mostrato che tutte le classi di obesità, ma non il soprappeso, definito dal BMI tra 25 e 30, erano significativamente associate all’incremento di mortalità per tutte le cause sia per le donne bianche sia per le nere (questo il confronto effettuato per la mortalità), che è apparso in gran parte legato alla presenza basale di ipertensione, diabete o iperlipidemia; considerando però l’età nelle più anziane il rischio era minore. Anche l’incidenza delle coronaropatie cresceva con l’aumento ponderale, indipendentemente dall’etnia, e questo appariva già per il sovrappeso.
Aggredire i fattori predisponenti
Gli stessi autori sottolineano che, considerando la morbilità e la mortalità associate alle coronaropatie, è probabile che i sette anni di follow-up fossero insufficienti per evidenziare i rischi per la salute esistenti in realtà a partire dal sovrappeso. E aggiungono che, dal momento che gran parte del rischio cardiaco si lega a diabete, ipertensione e iperlipidemia, questo enfatizza l’importanza di diagnosticare e trattare aggressivamente tali condizioni nell’obeso. I dati, concludono, fanno ritenere che l’escalation di obesità estrema possa esacerbare gli effetti per la salute pubblica e la relativa spesa sanitaria; comunque non si può considerare l’obesità come una categoria omogenea con un pericolo definito per la salute, perché questo varia a seconda di vari elementi, per esempio il grado di eccesso ponderale, la sua distribuzione corporea (com’è noto è più pericoloso quello addominale), l’età del soggetto e la presenza di fattori che favoriscono lo sviluppo di cardiopatie: ciò richiede un’individuazione più accurata dei rischi e dei benefici degli interventi per perdere peso nelle specifiche classi di obesità.
Elettra Vecchia
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