03 dicembre 2004
Aggiornamenti e focus
Solidali e informati
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Affrontare l'AIDS non è soltanto aggiornare sulle cure e, ovviamente, sull'effettivo accesso alle terapie, qui come nei paesi meno fortunati da questo punto di vista. Buona parte della lotta all'infezione, infatti, ricade anche sulla capacità di generare nella popolazione più esposta la giusta considerazione della malattia. Di qui l'interesse suscitato da un'indagine condotta su un gruppo di studenti che frequentano 12 Istituti medi superiori della Lombardia. I risultati sono stati illustrati a Milano, in occasione della presentazione del XVIII Congresso nazionale dell'ANLAIDS. A parlarne, in particolare, Tiziana Ferrario, copresidente del congresso, e Massimo Galli, Ordinario di Malattie Infettive dell'Università di Milano, Il sondaggio, voluto dall'ANLAIDS, è stato condotto in due fasi. Un primo questionario molto articolato precedeva un intervento formativo sull'AIDS, dopo il quale è stato sottoposto ai ragazzi un secondo questionario più semplice. Mentre nel primo si indagavano anche gli orientamenti generali, nel secondo si puntava a stabilire la percezione del rischio e il livello di conoscenze dopo l'intervento formativo, cioè a stabilire se era cambiato qualcosa.Primo dato: che cosa conta per i giovani? In primo luogo la famiglia, poi stare bene in salute, dare un senso alla vita e il vero amore. Tralasciando gli altri aspetti, è interessante che la salute venga al secondo posto, anche se è chiaro che per salute si potrebbero intendere anche la forma e la prestazione. Quindi un'attenzione di questo tipo c'è e viene anche articolata. "Per esempio i giovani avvertono come una minaccia le malattie tumorali. Tanto che alla domanda specifica su quale malattia li preoccupi di più i tumori vengono al primo posto" ha spiegato Massimo Galli. In questa classifica l'AIDS viene al secondo posto e al terzo le malattie mentali.
Centrando sull'AIDS, ci sono dati decisamente positivi. La conoscenza dell'efficacia del profilattico è diffusissima, supera il 90%. E sono spariti anche i pregiudizi sull'uso del mezzo di barriera "Non viene più associato al rapporto mercenario" ha proseguito il professor Galli. "Tuttavia, se poi si indagano i comportamenti, solo un terzo degli intervistati dichiara di usarlo. E qui forse pesa la paura dei maschi che il profilattico possa compromettere l'erezione, probabilmente l'intervento nelle scuole di un andrologo potrebbe cambiare la situazione". Un altro aspetto positivo è l'apertura nei confronti delle persone colpite dal virus: non ci sono atteggiamenti di esclusione dal momento che il 29% dice che se scoprisse che una persona che frequenta è sieropositiva non cambiertebbe nulla, il 26,4% dice che non giudicherebbe, il 9,2% si dice solidale e il 7% ritiene debba essere aiutata. Certamente c'è un 5,9% che sostinene che chi è sieropositivo "se lo sia cercato", così come c'è un 15,9% che ritiene molto pericoloso frequentare un sieropositivo. Insomma, per usare le parole del professor Galli, uno zoccolo duro esiste.
In linea generale, le azioni formative servono, come prova il fatto che dopo l'incontro con i medici molte nozioni sbagliate vengono corrette o ridimensionate. Per esempio, quella che anche le punture di insetti (lo credeva il 37,7%) possano essere un vettore dell'HIV. Infine, un aspetto sottolineato da Tiziana Ferrario, copresidente del Congresso ANLAIDS. "I giovani hanno dichiarato di trarre le loro informazioni soprattutto dai media e dalla scuola (insieme rappresentano il 75%) ma se si tratta di AIDS, il 60% dichiara di non essere stato informato adeguatamente. Probabilmente un tema come questo, che coinvolge profondamente il vissuto trova gli insegnati meno pronti. D'altra parte non regge più la delega all'insegnate di materie scientifiche. La risposta sta negli apporti esterni e laddove c'è una collaborazione con le ASL o con altre istanze l'informazione funziona".
Maurizio Imperiali
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Buone le conoscenze, ma l'applicazione...
Centrando sull'AIDS, ci sono dati decisamente positivi. La conoscenza dell'efficacia del profilattico è diffusissima, supera il 90%. E sono spariti anche i pregiudizi sull'uso del mezzo di barriera "Non viene più associato al rapporto mercenario" ha proseguito il professor Galli. "Tuttavia, se poi si indagano i comportamenti, solo un terzo degli intervistati dichiara di usarlo. E qui forse pesa la paura dei maschi che il profilattico possa compromettere l'erezione, probabilmente l'intervento nelle scuole di un andrologo potrebbe cambiare la situazione". Un altro aspetto positivo è l'apertura nei confronti delle persone colpite dal virus: non ci sono atteggiamenti di esclusione dal momento che il 29% dice che se scoprisse che una persona che frequenta è sieropositiva non cambiertebbe nulla, il 26,4% dice che non giudicherebbe, il 9,2% si dice solidale e il 7% ritiene debba essere aiutata. Certamente c'è un 5,9% che sostinene che chi è sieropositivo "se lo sia cercato", così come c'è un 15,9% che ritiene molto pericoloso frequentare un sieropositivo. Insomma, per usare le parole del professor Galli, uno zoccolo duro esiste.
Formare serve sempre
In linea generale, le azioni formative servono, come prova il fatto che dopo l'incontro con i medici molte nozioni sbagliate vengono corrette o ridimensionate. Per esempio, quella che anche le punture di insetti (lo credeva il 37,7%) possano essere un vettore dell'HIV. Infine, un aspetto sottolineato da Tiziana Ferrario, copresidente del Congresso ANLAIDS. "I giovani hanno dichiarato di trarre le loro informazioni soprattutto dai media e dalla scuola (insieme rappresentano il 75%) ma se si tratta di AIDS, il 60% dichiara di non essere stato informato adeguatamente. Probabilmente un tema come questo, che coinvolge profondamente il vissuto trova gli insegnati meno pronti. D'altra parte non regge più la delega all'insegnate di materie scientifiche. La risposta sta negli apporti esterni e laddove c'è una collaborazione con le ASL o con altre istanze l'informazione funziona".
Maurizio Imperiali
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