20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
Le alternative
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La scoperta della tecnica della trasfusione di sangue, sia direttamente da un individuo all'altro sia, soprattutto, da sangue conservato, ha rappresentato un progresso enorme in campo medico. Tuttavia la necessità di trovare alternative all'uso del sangue di un donatore è stata avvertita abbastanza presto. Se l'uso corrente della trasfusione è cominciato con la prima guerra mondiale, le prime esperienze in senso moderno risalgono all'Ottocento. E proprio a uno dei pionieri della moderna medicina trasfusionale, James Blundell, risale il primo tentativo di autotrasfusione. Cioè di riutilizzo del sangue del paziente stesso (in particolare Blundell agiva sulla spinta del gran numero di morti per emorragia post-parto cui assisteva come chirurgo del Guy's Hospital di Londra attorno al 1810).
Ovviamente non è che gli studi sulle alternative alla trasfusione allogena (cioè da donatore) siano continuati ininterrottamente da allora e, anzi, si può dire che l'impulso maggiore sia venuto da circostanze relativamente vicine nel tempo. Innanzitutto la scoperta che alcune malattie potevano essere trasmesse con la trasfusione (epatiti in primo luogo, i cui primi casi trasfusionali si verificarono attorno al 1943), poi con l'affermarsi delle pratiche chirurgiche più invasive, come gli interventi chirurgici a cuore aperto che, inizialmente, richiedevano grandi quantità di sangue; infine, soprattutto negli Stati Uniti, la necessità di non privare delle cure mediche e chirurgiche più sofisticate chi per motivi religiosi rifiutava le trasfusioni con sangue altrui (i Testimoni di Geova)
La prima e più semplice, che ha dato origine al concetto di "medicina incruenta", è ridurre al minimo la perdita di sangue durante gli interventi chirurgici. Oggi le macchine cuore polmone, per esempio, non devono essere avviate servendosi di sangue (agli inizi della metodica ne potevano occorrere anche venticinque sacche); inoltre, con l'avvento degli endoscopi e quindi della chirurgia mini-invasiva, la perdita di sangue da parte del paziente è molto contenuta, quando c'è, a differenza di quanto avveniva con la chirurgia in aperto, dove la necessità di incidere le strutture muscolari causava abbastanza spesso il ricorso alla trasfusione. Anche in cardiochirurgia, dove l'endoscopia può poco oggi è comunque possibile ricorrere a farmaci che riducono il sanguinamento. Un'altra pratica che limita il ricorso alla banca del sangue è il cosiddetto recupero intraoperatorio: il sangue perso da paziente operato viene raccolto e filtrato per poi essere reinfuso durante l'intervento. L'unica controindicazione a questa tecnica è la presenza di rotture del fegato o del pancreas con la conseguente contaminazione di questo sangue (per esempio con la bile).
Quando non si tratta di un'emergenza, ma l'intervento chirurgico può essere programmato, è possibile ricorrere al predeposito del sangue. Il candidato all'intervento dona sangue a se stesso, sangue che viene trattato e conservato come avviene per le donazioni normali e può quindi essere reinfuso all'occorrenza durante l'intervento. La validità di questa pratica è stata provata negli anni sessanta a opera di Miles e Langston, due chirurghi del Chicago State Tuberculosis Sanatorium ed è ormai lo standard (soprattutto all'estero) quando si tratta di interventi particolarmente cruenti, come l'applicazione delle protesi articolari, ma che raramente rivestono carattere d'urgenza. Le sole controindicazioni a questa metodica sono legate, ovviamente, allo stato del paziente che, se anemico, potrebbe risentire del prelievo.
Come si effettua il predeposito
Il paziente viene visitato dal chirurgo e dall'anestesista e, dopo, dal trasfusionista che accerta se è possibile effettuare subito il prelievo oppure se il paziente deve prima sottoporsi a una terapia a base di ferro, perché magari ha l'emoglobina o la ferritina basse (cioè se è un po' anemico). In questo caso occorre rimandare l'intervento fino a quando ha raggiunto le condizioni ottimali. Ci sono poi pazienti che soffrono di malattie che rendono più difficile al midollo osseo rimpiazzare il sangue prelevato, per esempio l'artrite reumatoide o la sclerodermia, e allora si può agire con sostanze che aumentino la produzione del midollo, come l'eritropoietina. Per stabilire l'entità del prelievo ci si basa sulla quantità standard di sangue che richiede ciascun intervento. Per esempio, per una protesi d'anca sono necessarie in media due unità di sangue, per togliere e reimpiantare una protesi ne occorrono invece tre.
L'emodiluizione acuta
Una delle conseguenza più immediate dell'emorragia è la diminuzione del volume circolante e questo, se la perdita è imponente, conduce a una condizione chiamata shock ipovolemico, nella quale si ha un arresto cardiaco. E' per questo che in caso di traumi con ingenti perdite di sangue, nell'impossibilità di usare sangue compatibile, si ricorre alla soluzione salina. Il volume circolante rimane stabile e anche se la capacità di trasporto dell'ossigeno diminuisce si guadagna tempo per attuare altri interventi. Un'evoluzione di questa procedura è l'emodiluizione acuta normovolemica. In pratica si tratta di prelevare dal paziente il sangue poco prima dell'intervento infondendogli contemporaneamente un fluido (plasma expander) che mantiene inalterato il volume ematico. Questa tecnica presenta alcuni vantaggi sia rispetto al predeposito sia rispetto al recupero intraoperatorio.
Rispetto al predeposito la procedura è meno costosa, il sangue non deve essere sottoposto ai trattamenti necessari per la conservazione e, inoltre, può essere eseguita anche in interventi non programmati. Rispetto al recupero intraoperatorio, in questa procedura si perdono meno globuli rossi e, ancora una volta, non è necessario filtrare e lavare il sangue.
I sostituti del sangue
E' il capitolo più futuribile delle alternative alla trasfusione da donatore. Il concetto su cui si fondano è relativamente semplice. La funzione principale del sangue, o meglio dei globuli rossi o eritrociti, è il trasporto dell'ossigeno ai tessuti. Detto questo, se si trovasse una sostanza sintetica in grado di svolgere lo stesso "lavoro" dell'emoglobina (cioè prelievo dell'ossigeno negli alveoli polmonari, trasporto lungo il torrente ematico e, infine, cessione ai tessuti) questa potrebbe essere usata al posto dei globuli rossi concentrati. Sembra fantascienza ma la risposta tecnologica c'è: i polifluorurati. Sono sostanze organiche che hanno questa affinità per l'ossigeno e possono effettivamente sostituire l'emoglobina. Attualmente la sostanza di questo tipo più studiata, che è giunta alla sperimentazione sull'uomo, è il perfluorocarburo o Oxygent, della quale si prevede la registrazione nel giro di un paio di anni.
Dopodiché probabilemnte non si potrà comunque fare a meno delle banche del sangue. Ma il loro ruolo sarà ridimensionato, nel bene e nel male.
Maurizio Lucchinelli
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Ovviamente non è che gli studi sulle alternative alla trasfusione allogena (cioè da donatore) siano continuati ininterrottamente da allora e, anzi, si può dire che l'impulso maggiore sia venuto da circostanze relativamente vicine nel tempo. Innanzitutto la scoperta che alcune malattie potevano essere trasmesse con la trasfusione (epatiti in primo luogo, i cui primi casi trasfusionali si verificarono attorno al 1943), poi con l'affermarsi delle pratiche chirurgiche più invasive, come gli interventi chirurgici a cuore aperto che, inizialmente, richiedevano grandi quantità di sangue; infine, soprattutto negli Stati Uniti, la necessità di non privare delle cure mediche e chirurgiche più sofisticate chi per motivi religiosi rifiutava le trasfusioni con sangue altrui (i Testimoni di Geova)
Risparmiare e recuperare il sangue
La prima e più semplice, che ha dato origine al concetto di "medicina incruenta", è ridurre al minimo la perdita di sangue durante gli interventi chirurgici. Oggi le macchine cuore polmone, per esempio, non devono essere avviate servendosi di sangue (agli inizi della metodica ne potevano occorrere anche venticinque sacche); inoltre, con l'avvento degli endoscopi e quindi della chirurgia mini-invasiva, la perdita di sangue da parte del paziente è molto contenuta, quando c'è, a differenza di quanto avveniva con la chirurgia in aperto, dove la necessità di incidere le strutture muscolari causava abbastanza spesso il ricorso alla trasfusione. Anche in cardiochirurgia, dove l'endoscopia può poco oggi è comunque possibile ricorrere a farmaci che riducono il sanguinamento. Un'altra pratica che limita il ricorso alla banca del sangue è il cosiddetto recupero intraoperatorio: il sangue perso da paziente operato viene raccolto e filtrato per poi essere reinfuso durante l'intervento. L'unica controindicazione a questa tecnica è la presenza di rotture del fegato o del pancreas con la conseguente contaminazione di questo sangue (per esempio con la bile).
L'autodonazione o predeposito
Quando non si tratta di un'emergenza, ma l'intervento chirurgico può essere programmato, è possibile ricorrere al predeposito del sangue. Il candidato all'intervento dona sangue a se stesso, sangue che viene trattato e conservato come avviene per le donazioni normali e può quindi essere reinfuso all'occorrenza durante l'intervento. La validità di questa pratica è stata provata negli anni sessanta a opera di Miles e Langston, due chirurghi del Chicago State Tuberculosis Sanatorium ed è ormai lo standard (soprattutto all'estero) quando si tratta di interventi particolarmente cruenti, come l'applicazione delle protesi articolari, ma che raramente rivestono carattere d'urgenza. Le sole controindicazioni a questa metodica sono legate, ovviamente, allo stato del paziente che, se anemico, potrebbe risentire del prelievo.
Come si effettua il predeposito
Il paziente viene visitato dal chirurgo e dall'anestesista e, dopo, dal trasfusionista che accerta se è possibile effettuare subito il prelievo oppure se il paziente deve prima sottoporsi a una terapia a base di ferro, perché magari ha l'emoglobina o la ferritina basse (cioè se è un po' anemico). In questo caso occorre rimandare l'intervento fino a quando ha raggiunto le condizioni ottimali. Ci sono poi pazienti che soffrono di malattie che rendono più difficile al midollo osseo rimpiazzare il sangue prelevato, per esempio l'artrite reumatoide o la sclerodermia, e allora si può agire con sostanze che aumentino la produzione del midollo, come l'eritropoietina. Per stabilire l'entità del prelievo ci si basa sulla quantità standard di sangue che richiede ciascun intervento. Per esempio, per una protesi d'anca sono necessarie in media due unità di sangue, per togliere e reimpiantare una protesi ne occorrono invece tre.
L'emodiluizione acuta
Una delle conseguenza più immediate dell'emorragia è la diminuzione del volume circolante e questo, se la perdita è imponente, conduce a una condizione chiamata shock ipovolemico, nella quale si ha un arresto cardiaco. E' per questo che in caso di traumi con ingenti perdite di sangue, nell'impossibilità di usare sangue compatibile, si ricorre alla soluzione salina. Il volume circolante rimane stabile e anche se la capacità di trasporto dell'ossigeno diminuisce si guadagna tempo per attuare altri interventi. Un'evoluzione di questa procedura è l'emodiluizione acuta normovolemica. In pratica si tratta di prelevare dal paziente il sangue poco prima dell'intervento infondendogli contemporaneamente un fluido (plasma expander) che mantiene inalterato il volume ematico. Questa tecnica presenta alcuni vantaggi sia rispetto al predeposito sia rispetto al recupero intraoperatorio.
Rispetto al predeposito la procedura è meno costosa, il sangue non deve essere sottoposto ai trattamenti necessari per la conservazione e, inoltre, può essere eseguita anche in interventi non programmati. Rispetto al recupero intraoperatorio, in questa procedura si perdono meno globuli rossi e, ancora una volta, non è necessario filtrare e lavare il sangue.
I sostituti del sangue
E' il capitolo più futuribile delle alternative alla trasfusione da donatore. Il concetto su cui si fondano è relativamente semplice. La funzione principale del sangue, o meglio dei globuli rossi o eritrociti, è il trasporto dell'ossigeno ai tessuti. Detto questo, se si trovasse una sostanza sintetica in grado di svolgere lo stesso "lavoro" dell'emoglobina (cioè prelievo dell'ossigeno negli alveoli polmonari, trasporto lungo il torrente ematico e, infine, cessione ai tessuti) questa potrebbe essere usata al posto dei globuli rossi concentrati. Sembra fantascienza ma la risposta tecnologica c'è: i polifluorurati. Sono sostanze organiche che hanno questa affinità per l'ossigeno e possono effettivamente sostituire l'emoglobina. Attualmente la sostanza di questo tipo più studiata, che è giunta alla sperimentazione sull'uomo, è il perfluorocarburo o Oxygent, della quale si prevede la registrazione nel giro di un paio di anni.
Dopodiché probabilemnte non si potrà comunque fare a meno delle banche del sangue. Ma il loro ruolo sarà ridimensionato, nel bene e nel male.
Maurizio Lucchinelli
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