16 marzo 2011
Aggiornamenti e focus
Tumore seno, si eredita la predisposizione non la malattia
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La recente cronaca di un intervento di mastectomia bilaterale, cioè l'intervento chirurgico per l'eliminazione delle mammelle, cui si è sottoposta una donna sana ma con elevato rischio di sviluppare tumore al seno, ha riportato all'attualità il dibattito sull'opportunità di eseguire l'intervento come strategia preventiva in caso di alto rischio. Un approccio frequente in altri paesi come negli Usa, ma che ancora non ha indicazioni cliniche chiare e solleva parecchi dubbi, come ha spiegato Umberto Veronesi, direttore scientifico dell'Istituto europeo di oncologia, interpellato da Dica33.
«Prima di tutto va detto che soltanto circa il 5% dei tumori del seno è di tipo ereditario» spiega l'esperto, «inoltre si eredita la predisposizione ad ammalarsi e non la malattia. In media una donna su due, all'interno di una famiglia predisposta, porta un gene malato». In sostanza, bisogna parlare di tumori ereditari quando si verificano due o più casi di cancro in un nucleo familiare, si trasmettono da una generazione all'altra senza alcun "salto", compare più spesso prima dei 40-45 anni e spesso sotto forma di tumori multipli (2 o più tumori in uno stesso individuo). Per capire, quindi, se si è a rischio di familiarità per il per tumore del seno, vanno cercate nella famiglia di origine le seguenti informazioni
- numero delle parenti già ammalate
- età in cui è stato diagnosticato loro il cancro al seno
- presenza di tumore all'ovaio nella famiglia
- grado di parentela degli ammalati.
I test genetici sono particolari esami di laboratorio in cui si analizza il materiale genetico della donna, il suo Dna, per individuarne la predisposizione al tumore sulla base delle mutazioni di due geni specifici, il Brca1 e il Brca2. «È sufficiente ereditare un solo gene per sviluppare l'aumento di rischio» afferma l'esperto. Ma aggiunge: «In quanto predittivi non consentono di stabilire con certezza se, quando e a quale livello di gravità la persona interessata si ammalerà. Sono, però, in grado di individuare le donne per le quali il rischio di ammalarsi è significativamente più elevato rispetto alla popolazione generale». Ma possono rappresentare un'occasione per alzare la soglia di attenzione, consentendo tramite controlli ravvicinati nel tempo, di tenere sotto controllo la situazione della donna a rischio e offrire quindi la possibilità di intervenire in modo assai tempestivo, se dalla semplice predisposizione si passa alla malattia. «I test predittivi non disegnano necessariamente un destino, spesso garantiscono anzi una possibilità di autodifesa: se so di potermi ammalare, posso controllare la situazione; nel caso che l'evento negativo si avveri, posso prevenirne un'evoluzione sfavorevole» sostiene Veronesi sottolineando il fatto che, per circa la metà delle donne con mutazione genetica, ci sono probabilità che il tumore non si sviluppi mai, anche in caso di test positivo.
Va sottolineato il valore della diagnosi precoce, che, svelando il tumore in fase molto iniziale, quando è impalpabile e identificabile solo radiologicamente, porta la percentuale di guarigione intorno al 98% dei casi. Ecografia e mammografia annuali e la risonanza magnetica nei casi di incertezza, possono svelare tumori piccoli trattabili con terapie rispettose dell'integrità e della qualità della vita della donna. «Con queste premesse la mastectomia preventiva, se anche riduce quasi a zero il rischio di ammalarsi, è una profilassi aggressiva» afferma Veronesi «e rappresenta concettualmente un passo indietro rispetto alla filosofia della chirurgia oncologica moderna, che tende invece a conservare il più possibile». Infatti, ci sono altre strade che la ricerca sta percorrendo. La prima è il controllo, l'altra è la farmacoprevenzione, cioè la somministrazione di farmaci che hanno dimostrato di poter bloccare il processo cellulare prima che nasca il tumore.
Simona Zazzetta
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