04 aprile 2008
Aggiornamenti e focus
Il gene indica il rischio
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Prevenzione, diagnosi e gestione del tumore al seno hanno avuto un notevole sviluppo nei recenti anni al punto da rendere guaribile una patologia neoplastica maligna. Ma è anche vero che di tumore al seno ci si ammala ancora e si muore ancora: nel 2006 negli Stati Uniti sono stati registrati 212 mila nuovi casi di malattia nella forma invasiva e più di 40 mila decessi. Ciò che attende la paziente dopo la diagnosi dipende da alcune caratteristiche cliniche chiave, come il coinvolgimento dei linfonodi, le dimensioni della massa tumorale e l'estensione delle eventuali metastasi. Nel complesso permettono in fase di prognosi di categorizzare la paziente in uno stadio clinico, ma anche di facilitare le scelte cliniche di terapia sulla base di rischi relativi e potenziali benefici. L'avvento delle tecnologie genomiche ha aggiunto un'ulteriore fonte di informazioni per completare il quadro e migliorare le decisioni, e gli esiti.
La genetica del tumore al seno rappresenta, infatti, un ambito di ricerca in cui le evidenze ottenute hanno avuto un'importante ricaduta clinica: l'aver individuato nei geni BRCA1 E BRCA2 l'ereditarietà della predisposizione permette di agire d'anticipo sullo sviluppo della malattia in casi di rischio familiare elevato. Ovviamente non soddisfatti, i ricercatori fanno presente che i BRCA spiegano il 5% di tutti i tumori al seno e che la ricerca non si può certo fermare a questo livello di conoscenza. Ci sono ancora carenze nella comprensione di altri geni che predispongono al tumore che risentono molto dell'influenza dei fattori ambientali, e di tali interazioni poco si sa. Inoltre non è ancora noto come le mutazioni dei geni BRCA causino la patologia, con quali proteine interagiscono i geni e quali modificazioni si verificano dopo che il gene si è espresso. Inoltre, in molti casi la patologia è provocata da mutazioni genetiche insorte, non ereditate (mutazioni somatiche) che sono in fase di identificazione mediante tecniche di sequenziamento (determinazione della struttura lineare del frammento di DNA).
La possibilità di avere informazioni genetiche offre l'opportunità di ampliare il quadro clinico della paziente, di stratificare il rischio e di creare sottogruppi omogenei sui quali intervenire in modo più specifico. Affidare un paziente al regime terapeutico giusto è a volte limitato proprio dall'eterogeneità che caratterizza le popolazioni di malati, e per quanto una terapia possa essere efficace a volte il beneficio di sopravvivenza può essere relativamente modesto. Come pure può verificarsi un inutile sovradosaggio in stadi precoci della malattia con effetti collaterali evitabili. Usare le caratteristiche genetiche della paziente, integrandole con le altre, per prendere decisioni cliniche e individuare la terapia, è l'approccio adottato in uno studio americano, pubblicato da JAMA, che ne ha valutato l'efficacia. Il campione preso in esame era sufficientemente ampio, ma gli stessi autori ammettono la necessità di approfondire i risultati preliminari. Ciò non toglie che sono stati in grado di stratificare il rischio di ricaduta in una popolazione di 573 pazienti, distinguendole in casi a rischio alto, medio o basso. I ricercatori hanno combinato i dati relativi all'espressione genica, definita anche firma genetica, di geni oncogeni e legati al microambiente tumorale già noti per essere associati a un profilo prognostico negativo. Il valore prognostico, sostengono gli autori, è dato soprattutto dall'aggregazione di dati relativi a diverse firma genetiche e i risultati sono incoraggianti, ma, si legge in un commento pubblicato nello stesso numero di JAMA, ci sono ancora molti fattori confondenti, anche se è innovativo l'approccio di raggruppare le pazienti in sottopopolazioni omogenee per rischio clinicopatologico e per profilo di rischio molecolare.
Simona Zazzetta
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...e inoltre su Dica33:
Limiti da superare
La genetica del tumore al seno rappresenta, infatti, un ambito di ricerca in cui le evidenze ottenute hanno avuto un'importante ricaduta clinica: l'aver individuato nei geni BRCA1 E BRCA2 l'ereditarietà della predisposizione permette di agire d'anticipo sullo sviluppo della malattia in casi di rischio familiare elevato. Ovviamente non soddisfatti, i ricercatori fanno presente che i BRCA spiegano il 5% di tutti i tumori al seno e che la ricerca non si può certo fermare a questo livello di conoscenza. Ci sono ancora carenze nella comprensione di altri geni che predispongono al tumore che risentono molto dell'influenza dei fattori ambientali, e di tali interazioni poco si sa. Inoltre non è ancora noto come le mutazioni dei geni BRCA causino la patologia, con quali proteine interagiscono i geni e quali modificazioni si verificano dopo che il gene si è espresso. Inoltre, in molti casi la patologia è provocata da mutazioni genetiche insorte, non ereditate (mutazioni somatiche) che sono in fase di identificazione mediante tecniche di sequenziamento (determinazione della struttura lineare del frammento di DNA).
Firme genetiche
La possibilità di avere informazioni genetiche offre l'opportunità di ampliare il quadro clinico della paziente, di stratificare il rischio e di creare sottogruppi omogenei sui quali intervenire in modo più specifico. Affidare un paziente al regime terapeutico giusto è a volte limitato proprio dall'eterogeneità che caratterizza le popolazioni di malati, e per quanto una terapia possa essere efficace a volte il beneficio di sopravvivenza può essere relativamente modesto. Come pure può verificarsi un inutile sovradosaggio in stadi precoci della malattia con effetti collaterali evitabili. Usare le caratteristiche genetiche della paziente, integrandole con le altre, per prendere decisioni cliniche e individuare la terapia, è l'approccio adottato in uno studio americano, pubblicato da JAMA, che ne ha valutato l'efficacia. Il campione preso in esame era sufficientemente ampio, ma gli stessi autori ammettono la necessità di approfondire i risultati preliminari. Ciò non toglie che sono stati in grado di stratificare il rischio di ricaduta in una popolazione di 573 pazienti, distinguendole in casi a rischio alto, medio o basso. I ricercatori hanno combinato i dati relativi all'espressione genica, definita anche firma genetica, di geni oncogeni e legati al microambiente tumorale già noti per essere associati a un profilo prognostico negativo. Il valore prognostico, sostengono gli autori, è dato soprattutto dall'aggregazione di dati relativi a diverse firma genetiche e i risultati sono incoraggianti, ma, si legge in un commento pubblicato nello stesso numero di JAMA, ci sono ancora molti fattori confondenti, anche se è innovativo l'approccio di raggruppare le pazienti in sottopopolazioni omogenee per rischio clinicopatologico e per profilo di rischio molecolare.
Simona Zazzetta
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