01 gennaio 2000
Aggiornamenti e focus
La malattia si può curare
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Colpisce un neonato maschio su 5 mila e affligge oltre 5 mila italiani, ma in tutto il mondo i malati sono più di 400 mila. Si tratta dell'emofilia, una patologia rara ed ereditaria, legata a un difetto genetico che provoca gravi emorragie. Ma come si manifesta? Chi ne soffre non ha, o non ha in quantità sufficienti, i fattori VIII e IX della coagulazione del sangue, col rischio di emorragie interne gravi e di complicazioni articolari invalidanti. Basti pensare che il sangue degli emofilici prelevato con una siringa rimane liquido anche per un'ora, o più, prima di coagulare. Un tempo gli emofilici gravi erano condannati a una vita breve e densa di sofferenze, funestata da continue emorragie causate da traumi banali o anche spontanee. Le perdite di sangue potevano colpire qualsiasi parte del corpo, ma erano assai frequenti quelle delle articolazioni che causavano, col ripetersi dei sanguinamenti, il blocco dei movimenti con conseguenti gravi invalidità. E oggi? Le cose, come spiegato in un incontro organizzato a Milano sul tema dalla Fondazione Bianchi Bonomi in occasione della Giornata Mondiale dell'emofilia, sono completamente cambiate. In meglio.
Dagli anni '60, ha sottolineato Pier Mannuccio Mannucci, Direttore del Dipartimento di Medicina e Dermatologia della Fondazione Policlinico di Milano, la terapia dell'emofilia ha attraversato momenti di luci e ombre. Oggi, però, le cure sono efficaci e sicure, tanto che i malati possono vivere normalmente. Negli episodi di emorragia si somministrano i fattori di coagulazione mancanti prodotti grazie alla moderna ingegneria genetica. Negli anni '80 è stato attraversato, probabilmente, il periodo più buio, quando 3500 italiani hanno ricevuto trasfusioni di sangue infetto con conseguenze tragiche: quasi tutti hanno contratto il virus dell'epatite C e 820 l'HIV, morendo di Aids nella metà dei casi. Il problema della sieroconversione oggi però è stato risolto grazie all'utilizzo di fattori della coagulazione ottenuti da DNA ricombinante e non derivati da plasma umano e con l'applicazione di metodi virucidici ai concentrati plasmatici di fattore VIII e IX. Ossia l'inattivazione del virus con il calore o tecniche che distruggono il virus nel plasma. In questo modo sono state ampiamente ridotte sieroconversioni a malattie virali, in particolare all'epatite e alla malattia da HIV. Un'infezione scoperta, peraltro, tardivamente. Andando a esaminare retrospettivamente campioni di sangue conservati da prima del 1985 l'infezione c'era già. Ma non la si conosceva. Un altro segno dei tempi è che i malati adesso possono vivere normalmente e perfino fare sport a livello agonistico. Una gioia prima negata perché la carenza di fattori della coagulazione porta a un rischio emorragico, più spiccato per chi fa sport. Episodi sempre meno frequenti grazie a una duplice modalità d'intervento. Da una parte la possibilità di intervenire quando c'è l'episodio, un intervento che è limitato nel tempo. Ma in particolare è sempre più frequente il ricorso alla profilassi. Si tratta di somministrare preventivamente due o tre volte il fattore mancante per avere quantità di fattore VIII e IX sufficienti a impedire emorragie spontanee. Si tratta di una modalità sperimentata diffusamente nei bambini, ma progressivamente attuata con successo anche con gli adulti. E la profilassi è divenuta la modalità di trattamento di prima scelta delle persone con emofilia, soprattutto di quelle con le forme più gravi di emofilia A. Quanto ai rischi da farmaci ricombinanti fino a oggi non c'è mai stato nessun problema salvo quello dello sviluppo di anticorpi che inattivano il fattore iniettato, un problema, peraltro comune anche ad altri farmaci. Fortunatamente capita solo nel 20% degli emofilici, sottolinea Mannucci, e comunque esistono anche dei trattamenti che permettono di trattare con efficacia anche questi pazienti. Quanto al futuro come per altre patologie ci si affida alla terapia genica, ma la strada è ancora molto lunga.
Marco Malagutti
Conferenza stampa, "Giornata Mondiale dell'Emofilia", 16 aprile 2009
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Dagli anni '60, ha sottolineato Pier Mannuccio Mannucci, Direttore del Dipartimento di Medicina e Dermatologia della Fondazione Policlinico di Milano, la terapia dell'emofilia ha attraversato momenti di luci e ombre. Oggi, però, le cure sono efficaci e sicure, tanto che i malati possono vivere normalmente. Negli episodi di emorragia si somministrano i fattori di coagulazione mancanti prodotti grazie alla moderna ingegneria genetica. Negli anni '80 è stato attraversato, probabilmente, il periodo più buio, quando 3500 italiani hanno ricevuto trasfusioni di sangue infetto con conseguenze tragiche: quasi tutti hanno contratto il virus dell'epatite C e 820 l'HIV, morendo di Aids nella metà dei casi. Il problema della sieroconversione oggi però è stato risolto grazie all'utilizzo di fattori della coagulazione ottenuti da DNA ricombinante e non derivati da plasma umano e con l'applicazione di metodi virucidici ai concentrati plasmatici di fattore VIII e IX. Ossia l'inattivazione del virus con il calore o tecniche che distruggono il virus nel plasma. In questo modo sono state ampiamente ridotte sieroconversioni a malattie virali, in particolare all'epatite e alla malattia da HIV. Un'infezione scoperta, peraltro, tardivamente. Andando a esaminare retrospettivamente campioni di sangue conservati da prima del 1985 l'infezione c'era già. Ma non la si conosceva. Un altro segno dei tempi è che i malati adesso possono vivere normalmente e perfino fare sport a livello agonistico. Una gioia prima negata perché la carenza di fattori della coagulazione porta a un rischio emorragico, più spiccato per chi fa sport. Episodi sempre meno frequenti grazie a una duplice modalità d'intervento. Da una parte la possibilità di intervenire quando c'è l'episodio, un intervento che è limitato nel tempo. Ma in particolare è sempre più frequente il ricorso alla profilassi. Si tratta di somministrare preventivamente due o tre volte il fattore mancante per avere quantità di fattore VIII e IX sufficienti a impedire emorragie spontanee. Si tratta di una modalità sperimentata diffusamente nei bambini, ma progressivamente attuata con successo anche con gli adulti. E la profilassi è divenuta la modalità di trattamento di prima scelta delle persone con emofilia, soprattutto di quelle con le forme più gravi di emofilia A. Quanto ai rischi da farmaci ricombinanti fino a oggi non c'è mai stato nessun problema salvo quello dello sviluppo di anticorpi che inattivano il fattore iniettato, un problema, peraltro comune anche ad altri farmaci. Fortunatamente capita solo nel 20% degli emofilici, sottolinea Mannucci, e comunque esistono anche dei trattamenti che permettono di trattare con efficacia anche questi pazienti. Quanto al futuro come per altre patologie ci si affida alla terapia genica, ma la strada è ancora molto lunga.
Marco Malagutti
Conferenza stampa, "Giornata Mondiale dell'Emofilia", 16 aprile 2009
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