14 settembre 2011
Aggiornamenti e focus
Tolleranza zero per alcol in gravidanza
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Le donne in gravidanza devono astenersi totalmente dal consumo di alcol, senza nessuna eccezione. Sono queste le indicazioni emerse da uno dal primo studio italiano, coordinato dall'Istituto superiore di sanità (Iss), sul rischio di sindrome fetoalcolica dovuta all'esposizione all'alcol assunto dalla mamma nei 9 mesi di gravidanza. Nel presentare i risultati della ricerca, il presidente dell'Iss, Enrico Garaci è stato chiaro: «Non conosciamo la quantità di alcol che non presenta rischi per il nascituro, perciò zero alcol in gravidanza e zero alcol quando si decide di avere un figlio e si iniziano i tentativi per averlo».
Il fenomeno, purtroppo, esiste, come dimostrato dai dati raccolti che hanno rivelato che il 7,6% dei neonati italiani sono esposti all'alcol materno. L'importanza dello studio consiste anche nell'aver messo a punto un marcatore rilevato attraverso le analisi del meconio, le prime feci del neonato. La presenza di etilglucuronide è il segnale che il feto è stato esposto all'alcol durante la gestazione. «È un risultato di fondamentale importanza» ha spiegato Simona Pichini dell'Iss, coordinatrice del gruppo di ricercatori coinvolti nello studio, «poiché finora la diagnosi dei disordini feto-alcolici era affidata all'interpretazione e all'esperienza del medico. L'etilglucuronide, metabolita non ossidativo dell'etanolo, permette invece di individuare immediatamente e con certezza i neonati esposti prenatalmente all'alcol». È anche un'opportunità per avere la diagnosi precoce, anche in questo caso molto utile per individuare possibili rischi e agire tempestivamente. «I neonati devono avere un monitoraggio specifico» aggiunge la ricercatrice «perché ancora non si sa che percentuale di loro svilupperà una sindrome feto alcolica e quanti di loro svilupperanno uno spettro di disordini feto alcolici. Si tratta principalmente di problemi neurologici, neuromorfologici, problemi di sviluppo cerebrale, disabilità serie. La sindrome di iperattività e deficit di attenzione, per esempio, è uno dei disordini che potrebbe manifestarsi nell'ambito di un'esposizione del feto all'alcol».
L'Iss ha così messo in luce che esiste un consumo di alcol in gravidanza sottostimato o non riconosciuto da parte delle donne che partoriscono: l'analisi sul meconio di 607 neonati, infatti, ha rivelato un'esposizione media del 7.6% di neonati e con una distribuzione nelle diverse città campione dello studio molto diversificata. Nelle 7 neonatologie di diversi ospedali italiani coinvolti è stato riscontrato uno 0% nella neonatologia di Verona fino a una percentuale del 29% nella neonatologia dell'Umberto I di Roma. Ma il fenomeno ha anche una dimensione europea: «In Europa» dice Garaci «si hanno pochissimi dati sui disordini feto-alcolici, questo nostro studio è fra i primi e ha coinvolto anche la Spagna. A Barcellona i dati hanno rivelato addirittura il 45% di esposizione neonatale». Esistono, tuttavia, pareri meno drastici sul tema, dal momento che secondo Herbert Valensise, segretario della Sigo, la Società italiana di ginecologia e ostetricia, la ricerca apre uno spettro di interesse sulla sindrome feto-alcolica, «ma tutto questo va considerato come un fattore di rischio, e non come rapporto causa-effetto, perché gli effetti che determinano una disabilità neurologica neonatale sono molteplici». E aggiunge che sarebbe più giusto parlare «di fattore di rischio da tenere in considerazione e non di tolleranza zero, una valutazione che a oggi, con i risultati che ancora non abbiamo, è a mio parere eccessiva».
Simona Zazzetta
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