Due passi avanti nella lotta contro il diabete

14 giugno 2013
Interviste

Due passi avanti nella lotta contro il diabete



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Il diabete 3c colpisce i pazienti ai quali viene asportato chirurgicamente il pancreas per ragioni diverse che vanno dalla pancreatite cronica, alla presenza di tumori benigni oppure di cisti, e che quindi perdono le funzioni svolte dall'organo. La più importante è la regolazione del metabolismo degli zuccheri che dipende dalla produzione di ormoni come l'insulina e il glucagone. Le conseguenze per il paziente sono una peggiore qualità di vita e il rischio di complicanze, anche gravi, come il coma ipoglicemico. Rischio al quale ha posto rimedio uno studio del San Raffaele di Milano: i ricercatori del Diabetes Research Institute (Dri) dell'istituto hanno ricostruito, per la prima volta al mondo, parte delle funzioni del pancreas nel midollo osseo di pazienti affetti da questo tipo di diabete. I medici che hanno condotto lo studio appena pubblicato su Diabetes dopo 3 anni di osservazione, hanno recuperato le cellule che hanno il compito di produrre gli ormoni fondamentali per il corretto funzionamento dell'organismo fra cui anche l'insulina, dal pancreas di quattro malati a cui era stato asportato l'organo, e ne hanno ricostruito le funzioni trapiantando le cellule nel midollo osseo degli stessi pazienti.

«Sembrerebbe la fine del nostro percorso - racconta Lorenzo Piemonti, responsabile del programma di trapianto di isole e dell'Unità della Biologia delle Beta Cellule al Diabetes Research Institute del San Raffaele - Ma in realtà questo è stato il primo passo. Abbiamo fatto uno studio di principio affermando che questo trapianto si può fare (ed è quello che è stato pubblicato, ndr). Ora stiamo cercando di capire se questa cosa può portare dei vantaggi anche nel paziente affetto dal diabete di tipo 1». Perché l'attività dei ricercatori, dopo lo studio appena pubblicato, non si è fermata e apre grandi prospettive: «Se si dimostrerà che il midollo osseo è un sito affidabile anche per questo tipo di pazienti - prosegue Piemonti - potremo pensare di allargarci ad altri tipi di situazioni».

Parliamo subito, allora, del secondo passo che state facendo.
«Abbiamo pensato ai pazienti con un tumore al pancreas applicando su larga scala, anche se è sempre uno studio pilota, l'idea del trapianto di cellule del pancreas del malato nel midollo osseo. Sono 34 pazienti, 31 con tumore al pancreas di cui 17 con tumore ad altissima malignità. Abbiamo ricostruito la funzione del pancreas nel 91 per cento dei casi e all'ultimo follow-up nessuno ha evidenziato quello che più temevamo: la diffusione della malattia a livello epatico».

Un altro successo...
«Penso di poter dire che si stia aprendo una nuova era per questo tipo di malattie. Purtroppo le patologie neoplastiche del pancreas sono in aumento, ma da oggi noi possiamo dare una risposta a questi pazienti, possiamo essere meno preoccupati nell'asportare il pancreas perché ne possiamo ricostruire tranquillamente le funzioni».

Che differenza c'è con l'approccio classico, cioè il trapianto di isole nel fegato del paziente?
Innanzitutto è un intervento meno invasivo. Poi il microambiente del midollo è molto particolare: ricco di componenti cellulari che possono fungere da "balia" per le cellule trapiantate che producono insulina e quindi favorirne la sopravvivenza in modo più efficiente L'approccio utilizzato in questi pazienti è innovativo e dimostra per la prima volta che è possibile per un tessuto non ematopoietico, e nella fattispecie endocrino, sopravvivere e funzionare in un ambiente molto particolare come quello del midollo osseo, dove normalmente vivono le cellule staminali del nostro corpo dedicate principalmente alla creazione del sangue. È un risultato straordinario e potrebbe aprire in generale scenari inaspettati nel campo della medicina rigenerativa».

Perché?
«Il midollo sembra essere una buona sede per qualsiasi cellula. Ovviamente dipende da qual è la funzione che si vuole sostituire. Facciamo il caso di pazienti che fanno una tiroidectomia e ai quali vengono asportati anche le paratiroidi. Uno dei modi per evitare di sviluppare un deficit di secrezione ormonale delle paratiroidi è quello di impiantare il tessuto paratiroideo e solitamente viene utilizzato come sede di trapianto il muscolo, che però risulta poco efficiente. Ebbene, potrebbe essere utilizzato il midollo: questo è un altro esempio di applicazione concreta nell'immediato. Più in generale: la perdita di una funzione soprattutto di secrezione sistemica di tipo ormonale può essere sostituita con questo tipo di impianto».

Queste ricerche danno speranze anche per i malati di diabete di tipo 1?
«Noi pensiamo che la sede del midollo abbia un vantaggio anche per loro. Nel diabete di tipo 1 noi andiamo spesso a curare con il trapianto di isole. La sostanziale differenza tra il paziente a cui viene asportato il pancreas ma non è diabetico e il paziente diabetico di tipo 1 è che per il primo possiamo utilizzare le sue cellule che producono insulina: lui le ha e noi riusciamo a recuperarle e a impiantarle ricostruendo, nel fegato o nel midollo, la funzione che altrimenti avrebbe perso. Nel diabetico di tipo 1 non abbiamo questa possibilità perché le sue cellule non ci sono più, quindi dobbiamo utilizzare cellule che producono insulina di un donatore d'organo. Ciò significa che, come in tutti i trapianti, dobbiamo fare una terapia immunosoppressiva, altrimenti le cellule verrebbero distrutte dal sistema immunitario del ricevente».

Terapia che ha dei rischi.
«Esatto. Per questo la utilizziamo solo quando il paziente diabetico di tipo 1 non riesce a tenere sotto controllo, con la normale terapia insulinica, la sua malattia. Il sito del midollo potrebbe avere dei benefici potenziali perché dal punto di vista immunologico è un sito molto diverso dal fegato. Quindi quello che stiamo cercando di capire è se lì la cellula trapiantata possa sopravvivere meglio. Va tenuto presente infatti che in un normale trapianto nel fegato più del 50% delle isole muoiono dopo il primo giorno. Nel midollo noi sappiamo che la situazione potrebbe essere notevolmente migliore. Questo è lo studio che abbiamo in corso per i diabetici di tipo 1: ci sono già 12 pazienti reclutati di cui 4 già trapiantati. Nel giro di un anno sapremo».



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