13 marzo 2017
Interviste
Italia in prima linea contro le “malattie della povertà”
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Hiv/Aids, malaria, tubercolosi ed epatite B e C vengono definite "malattie della povertà", ma più spesso di quanto si crede si presentano anche nei paesi più ricchi, Italia inclusa, creando non pochi problemi ai Sistemi sanitari nazionali. Gli esperti italiani dell'Istituto superiore di sanità (Iss), molto attivo in questo senso, aderiscono anche a Euripred una rete di infrastrutture che collaborano per combattere queste patologie con la creazione e la condivisione di nuovi strumenti come vaccini o farmaci, ma anche con il coordinamento e l'integrazione delle risorse internazionali (scientifiche e di infrastrutture) per supportare la ricerca sulle malattie della povertà. Lucia Gabriele e Carla Palma, entrambe ricercatrici dell'Iss, ci aiutano a fare chiarezza nel quadro decisamente complesso delle malattie della povertà.
Quali sono le "malattie della povertà" e perché vengono definite tali?
«Con questa espressione si definiscono tutte quelle malattie che hanno una maggiore diffusione nei Paesi a basso reddito o in via di sviluppo. La povertà è strettamente legata a questo tipo di patologie perché spesso ne favorisce l'insorgenza e la diffusione e inoltre rappresenta un'importante barriera per la soluzione del problema. Si pensi infatti a un Paese con poche risorse economiche: la popolazione è costretta a vivere in condizioni che facilitano la diffusione della malattia come per esempio un ambiente malsano, ma allo stesso tempo la mancanza di risorse impedisce di "bonificare" l'ambiente ed eliminare il problema. Tra le malattie della povertà più di frequente al centro dell'attenzione ritroviamo Hiv/Aids, malaria, tubercolosi ed epatite B e C».
Ha senso parlarne in Europa o in Italia, normalmente non considerate aree "povere"?
«Certo che ha senso, poiché, anche se può sembrare strano, queste malattie non sono presenti solo nei paesi più poveri, ma anche in alcune nazioni "non sospette" da questo punto di vista, e l'Italia non fa eccezione. Ovviamente, i numeri dell'incidenza e della diffusione sono molto inferiori nei paesi cosiddetti sviluppati rispetto a quelli che si registrano nei paesi in via di sviluppo: solo per fare un esempio la tubercolosi è presente in oltre 300 persone su 100mila persone in Sud Africa (dove spesso l'infezione coesiste con quella da Hiv), mentre in Italia si parla di circa 5-6 casi su 100.000 persone. Inoltre non dobbiamo dimenticare che con l'aumento della circolazione delle persone a livello globale, i confini delle malattie si stanno sempre più allargando e il problema diventa di tutti non solo dei Paesi ad alta endemia».
Ci sono categorie di persone più a rischio di sviluppare queste malattie in Italia?
«Nel caso della tubercolosi tutte quelle condizioni che in qualche modo rendono meno efficace il sistema immunitario mettono a rischio di contrarre l'infezione, oppure di andare incontro a una riattivazione della malattia. Non a caso tra le categorie a rischio anche nei paesi sviluppati ci sono i bambini che non hanno ancora un sistema immunitario completamente maturo, gli anziani nei quali le difese dell'organismo perdono fisiologicamente forza, le persone che si sono sottoposte a trapianto o a chemioterapie che annullano o riducono la risposta immunitaria, i soggetti con Hiv. Un'altra categoria a rischio sono gli indigenti. Nel caso della malaria invece, i soggetti italiani a rischio sono coloro che si recano in aeree dove la malaria è endemica e magari non fanno una profilassi adeguata. I nuovi casi d'infezione da Hiv, riguardano soprattutto i giovani e sono legati alla trasmissione sessuale».
Quali sono le armi per combatterle o comunque tenerle a bada?
«I vaccini sono senza dubbio le armi più efficaci per contrastare le malattie infettive, ma per quanto riguarda malaria, tubercolosi, Hiv ed epatite C ancora non esistono strategie vaccinali efficaci e davvero protettive. La vaccinazione per l'epatite B, invece, esiste ed è efficace. La prevenzione però si può fare anche con altri strumenti. Il numero di casi di malaria, malattia trasmessa dalla puntura di una zanzara ed endemica in molti paesi poveri, può essere ridotto notevolmente bonificando gli ambienti che favoriscono la replicazione della zanzara. Con il miglioramento della qualità della vita, del regime nutrizionale, delle condizioni igienico/sanitarie, dell'accessibilità alle terapie farmacologiche si può tenere a bada l'infezione tubercolare. Per la lotta all'Hiv contano molto le campagne di informazione e di sensibilizzazione come quelle realizzate anche dall'Iss. Non bisogna certo però abbassare la guardia. Una continua informazione, sulle modalità di trasmissione dell'Hiv e sulle conseguenze dell'infezione sulla salute è necessaria, soprattutto per i più giovani. Il controllo sempre più preciso del sangue e di tutti gli emo-derivati costituisce poi una risorsa insostituibile per combattere malattie come l'Hiv ed epatite B e C. Ricordiamoci poi che oggi esistono terapie farmacologiche in grado di curare queste malattie o quanto meno, come nel caso dell'Hiv, di impedire/rallentare l'infezione in modo che questa non degeneri verso la patologia Aids».
Quali gli ostacoli principali alla lotta?
«Uno dei problemi principali per chi si occupa di ridurre il peso sanitario di queste malattie è senza dubbio l'insorgenza di ceppi di microrganismi resistenti ai trattamenti oggi disponibili.
Per quanto riguarda il virus Hiv, proprio la sua capacità di mutare rende complicata l'efficacia di alcuni trattamenti. Per la tubercolosi la situazione è altrettanto complicata e stiamo assistendo alla nascita di nuovi batteri multiresistenti, ovvero capaci di sfuggire a tutti i farmaci di cui i medici dispongono. Deve anche essere sottolineato che purtroppo la mancanza di adeguati finanziamenti per la ricerca e sviluppo di nuove terapie, il limitato accesso alle cure e la presenza di povertà rendono queste malattie ancora un problema enorme in molti Paesi».
Cristina Ferrario
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Quali sono le "malattie della povertà" e perché vengono definite tali?
«Con questa espressione si definiscono tutte quelle malattie che hanno una maggiore diffusione nei Paesi a basso reddito o in via di sviluppo. La povertà è strettamente legata a questo tipo di patologie perché spesso ne favorisce l'insorgenza e la diffusione e inoltre rappresenta un'importante barriera per la soluzione del problema. Si pensi infatti a un Paese con poche risorse economiche: la popolazione è costretta a vivere in condizioni che facilitano la diffusione della malattia come per esempio un ambiente malsano, ma allo stesso tempo la mancanza di risorse impedisce di "bonificare" l'ambiente ed eliminare il problema. Tra le malattie della povertà più di frequente al centro dell'attenzione ritroviamo Hiv/Aids, malaria, tubercolosi ed epatite B e C».
Ha senso parlarne in Europa o in Italia, normalmente non considerate aree "povere"?
«Certo che ha senso, poiché, anche se può sembrare strano, queste malattie non sono presenti solo nei paesi più poveri, ma anche in alcune nazioni "non sospette" da questo punto di vista, e l'Italia non fa eccezione. Ovviamente, i numeri dell'incidenza e della diffusione sono molto inferiori nei paesi cosiddetti sviluppati rispetto a quelli che si registrano nei paesi in via di sviluppo: solo per fare un esempio la tubercolosi è presente in oltre 300 persone su 100mila persone in Sud Africa (dove spesso l'infezione coesiste con quella da Hiv), mentre in Italia si parla di circa 5-6 casi su 100.000 persone. Inoltre non dobbiamo dimenticare che con l'aumento della circolazione delle persone a livello globale, i confini delle malattie si stanno sempre più allargando e il problema diventa di tutti non solo dei Paesi ad alta endemia».
Ci sono categorie di persone più a rischio di sviluppare queste malattie in Italia?
«Nel caso della tubercolosi tutte quelle condizioni che in qualche modo rendono meno efficace il sistema immunitario mettono a rischio di contrarre l'infezione, oppure di andare incontro a una riattivazione della malattia. Non a caso tra le categorie a rischio anche nei paesi sviluppati ci sono i bambini che non hanno ancora un sistema immunitario completamente maturo, gli anziani nei quali le difese dell'organismo perdono fisiologicamente forza, le persone che si sono sottoposte a trapianto o a chemioterapie che annullano o riducono la risposta immunitaria, i soggetti con Hiv. Un'altra categoria a rischio sono gli indigenti. Nel caso della malaria invece, i soggetti italiani a rischio sono coloro che si recano in aeree dove la malaria è endemica e magari non fanno una profilassi adeguata. I nuovi casi d'infezione da Hiv, riguardano soprattutto i giovani e sono legati alla trasmissione sessuale».
Quali sono le armi per combatterle o comunque tenerle a bada?
«I vaccini sono senza dubbio le armi più efficaci per contrastare le malattie infettive, ma per quanto riguarda malaria, tubercolosi, Hiv ed epatite C ancora non esistono strategie vaccinali efficaci e davvero protettive. La vaccinazione per l'epatite B, invece, esiste ed è efficace. La prevenzione però si può fare anche con altri strumenti. Il numero di casi di malaria, malattia trasmessa dalla puntura di una zanzara ed endemica in molti paesi poveri, può essere ridotto notevolmente bonificando gli ambienti che favoriscono la replicazione della zanzara. Con il miglioramento della qualità della vita, del regime nutrizionale, delle condizioni igienico/sanitarie, dell'accessibilità alle terapie farmacologiche si può tenere a bada l'infezione tubercolare. Per la lotta all'Hiv contano molto le campagne di informazione e di sensibilizzazione come quelle realizzate anche dall'Iss. Non bisogna certo però abbassare la guardia. Una continua informazione, sulle modalità di trasmissione dell'Hiv e sulle conseguenze dell'infezione sulla salute è necessaria, soprattutto per i più giovani. Il controllo sempre più preciso del sangue e di tutti gli emo-derivati costituisce poi una risorsa insostituibile per combattere malattie come l'Hiv ed epatite B e C. Ricordiamoci poi che oggi esistono terapie farmacologiche in grado di curare queste malattie o quanto meno, come nel caso dell'Hiv, di impedire/rallentare l'infezione in modo che questa non degeneri verso la patologia Aids».
Quali gli ostacoli principali alla lotta?
«Uno dei problemi principali per chi si occupa di ridurre il peso sanitario di queste malattie è senza dubbio l'insorgenza di ceppi di microrganismi resistenti ai trattamenti oggi disponibili.
Per quanto riguarda il virus Hiv, proprio la sua capacità di mutare rende complicata l'efficacia di alcuni trattamenti. Per la tubercolosi la situazione è altrettanto complicata e stiamo assistendo alla nascita di nuovi batteri multiresistenti, ovvero capaci di sfuggire a tutti i farmaci di cui i medici dispongono. Deve anche essere sottolineato che purtroppo la mancanza di adeguati finanziamenti per la ricerca e sviluppo di nuove terapie, il limitato accesso alle cure e la presenza di povertà rendono queste malattie ancora un problema enorme in molti Paesi».
Cristina Ferrario
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