15 maggio 2017
Interviste
L’origine dei tumori, tra sfortuna e cause note
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Recentemente molto si è letto sulla stampa nazionale e internazionale riguardo alla forte componente di "sfortuna" che sarebbe insita nello sviluppo del tumore, e che riguarderebbe ben i due terzi di tutti i casi di malattia. La "sfortuna" ha ben poco di scientifico, ma gli articoli giornalistici in questione facevano riferimento a uno studio pubblicato su una rivista di tutto rispetto, Science , da parte di Cristian Tomasetti, ricercatore italiano della Johns Hopkins University, e di Bert Volgestein, il primo ad avere individuato la sequenza di mutazioni che portano allo sviluppo del cancro del colon. La loro ricerca, portata avanti per confermare i risultati di uno studio pubblicato nel 2015, conferma che il 66 per cento dei casi di cancro sarebbero ricollegabili al semplice caso, ovvero a errori che avvengono in cellule completamente sane nel processo di replicazione. Qual è dunque il reale valore della prevenzione? Non è possibile intervenire in alcun modo per evitare di ammalarsi? E gli agenti ambientali che ruolo hanno in tutto questo? Dica33 ne ha parlato con Maurizio Tomirotti, Past-President del Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri(Cipomo).
Dottor Tomirotti, può chiarirci le idee sul reale argomento di questo studio?
«Le nostre cellule nel loro continuo replicarsi sono soggette a mutazioni spontanee, in alcuni casi derivanti dall'azione di agenti esterni, in altri imputabili solo a variazioni interne all'organismo. Le mutazioni spontanee non sono in realtà negative in se stesse, anzi, contribuiscono all'evoluzione e sono quelle a cui dobbiamo la biodiversità, sono uno strumento. Molto spesso, le mutazioni spontanee sono un "refuso" irrilevante, sono entità puntiformi, interessano per la maggior parte piccoli tratti di Dna, il nostro materiale genetico, che non riguardano l'attività cellulare e quindi vanno perse. Solo in alcuni casi esse si verificano invece in zone di Dna che servono biologicamente a dare istruzioni e a caratterizzare la cellula, e quindi possono diventare pericolose».
Il nostro organismo come reagisce di fronte a queste mutazioni?
«Le mutazioni dannose con potenziale oncogeno, cioè che possono causare una crescita cellulare incontrollata e quindi un tumore, vengono riconosciute e sono trattate in due modi: tramite l'apoptosi, un "suicidio programmato", che si attiva in caso di una mutazione pericolosa e si occupa dell'eliminazione delle cellule da tessuto, o tramite il sistema immunitario. Alcune mutazioni purtroppo possono sfuggire ai meccanismi preposti al loro controllo, e se coinvolgono meccanismi replicativi cellulari possono causare il tumore».
Qual è il ruolo degli agenti ambientali oncogeni in tutto questo quindi?
«Gli agenti oncogeni che si trovano nell'ambiente sono in grado di favorire queste mutazioni oppure di diminuire le capacità di difesa dell'organismo. Il lavoro pubblicato su Science vuole valorizzare il significato scientifico della mutazione, mettere in risalto un aspetto che può essere poco considerato, ma non è negazionista, non mette in discussione gli effetti ormai noti dei cancerogeni, né vuole sminuire l'importanza della prevenzione primaria, cioè il tipo di prevenzione che si attua eliminando le cause di tumore derivanti dall'esterno».
Leggiamo che ben il 66 per cento dei tumori dipende dal caso, è vera questa affermazione?
«In realtà non è un dato nuovo; questi numeri concordano abbastanza con quelli degli studi epidemiologici, che ci dicono che circa il 40 per cento dei tumori è prevenibile. La prevenzione primaria non sconfigge i tumori, purtroppo abbiamo tumori per cui non si conoscono i meccanismi causali e se non conosciamo l'agente che li causa chiaramente non possiamo fare prevenzione eliminandolo; probabilmente quelli legati alla "sfortuna" di cui qui si parla sono tra questi. Questo studio sottolinea la necessità di affinare la ricerca nella diagnosi precoce per la prevenzione secondaria, cioè nella diagnosi precoce e negli esami di massa per evidenziare la malattia in fase iniziale, proprio per il motivo che ricordavo prima.
Il discorso poi cambia da tumore a tumore: ci sono neoplasie in cui le mutazioni casuali possono giocare un ruolo maggiore e altre dove il fattore ambientale è sicuramente più importante, come nel tumore del polmone. Parlando del tumore del polmone, per esempio, sapevamo già che il fumo non provoca tumore in tutti i fumatori; e che viceversa ci sono malati, anche se pochi, che non sono fumatori; in ogni caso ci sono ancora meccanismi che sfuggono al nostro controllo. Questo studio può aiutare a comprendere perché si verificano questi fatti».
Quindi, tirando le somme, nulla è cambiato dal punto di vista medico sulla prevenzione del tumore?
«Le replicazioni cellulari errate sono inevitabili e si verificano in ogni tipo di organismo, ma solo in particolari condizioni casuali possono portare allo sviluppo ditumori. Non tutti i tumori sono prevenibili; per quelli di cui conosciamo gli agenti oncogeni è necessario continuare a perseguire l'eliminazione delle cause, mentre dove ciò non è possibile dobbiamo impegnarci con screening e diagnosi precoce. Non dobbiamo poi dimenticare che uno stile di vita sano mette nelle condizioni di avere maggiore efficienza per tutto l'organismo, e questo in ogni caso torna sempre utile anche in caso di malattia».
Susanna Guzzetti
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Dottor Tomirotti, può chiarirci le idee sul reale argomento di questo studio?
«Le nostre cellule nel loro continuo replicarsi sono soggette a mutazioni spontanee, in alcuni casi derivanti dall'azione di agenti esterni, in altri imputabili solo a variazioni interne all'organismo. Le mutazioni spontanee non sono in realtà negative in se stesse, anzi, contribuiscono all'evoluzione e sono quelle a cui dobbiamo la biodiversità, sono uno strumento. Molto spesso, le mutazioni spontanee sono un "refuso" irrilevante, sono entità puntiformi, interessano per la maggior parte piccoli tratti di Dna, il nostro materiale genetico, che non riguardano l'attività cellulare e quindi vanno perse. Solo in alcuni casi esse si verificano invece in zone di Dna che servono biologicamente a dare istruzioni e a caratterizzare la cellula, e quindi possono diventare pericolose».
Il nostro organismo come reagisce di fronte a queste mutazioni?
«Le mutazioni dannose con potenziale oncogeno, cioè che possono causare una crescita cellulare incontrollata e quindi un tumore, vengono riconosciute e sono trattate in due modi: tramite l'apoptosi, un "suicidio programmato", che si attiva in caso di una mutazione pericolosa e si occupa dell'eliminazione delle cellule da tessuto, o tramite il sistema immunitario. Alcune mutazioni purtroppo possono sfuggire ai meccanismi preposti al loro controllo, e se coinvolgono meccanismi replicativi cellulari possono causare il tumore».
Qual è il ruolo degli agenti ambientali oncogeni in tutto questo quindi?
«Gli agenti oncogeni che si trovano nell'ambiente sono in grado di favorire queste mutazioni oppure di diminuire le capacità di difesa dell'organismo. Il lavoro pubblicato su Science vuole valorizzare il significato scientifico della mutazione, mettere in risalto un aspetto che può essere poco considerato, ma non è negazionista, non mette in discussione gli effetti ormai noti dei cancerogeni, né vuole sminuire l'importanza della prevenzione primaria, cioè il tipo di prevenzione che si attua eliminando le cause di tumore derivanti dall'esterno».
Leggiamo che ben il 66 per cento dei tumori dipende dal caso, è vera questa affermazione?
«In realtà non è un dato nuovo; questi numeri concordano abbastanza con quelli degli studi epidemiologici, che ci dicono che circa il 40 per cento dei tumori è prevenibile. La prevenzione primaria non sconfigge i tumori, purtroppo abbiamo tumori per cui non si conoscono i meccanismi causali e se non conosciamo l'agente che li causa chiaramente non possiamo fare prevenzione eliminandolo; probabilmente quelli legati alla "sfortuna" di cui qui si parla sono tra questi. Questo studio sottolinea la necessità di affinare la ricerca nella diagnosi precoce per la prevenzione secondaria, cioè nella diagnosi precoce e negli esami di massa per evidenziare la malattia in fase iniziale, proprio per il motivo che ricordavo prima.
Il discorso poi cambia da tumore a tumore: ci sono neoplasie in cui le mutazioni casuali possono giocare un ruolo maggiore e altre dove il fattore ambientale è sicuramente più importante, come nel tumore del polmone. Parlando del tumore del polmone, per esempio, sapevamo già che il fumo non provoca tumore in tutti i fumatori; e che viceversa ci sono malati, anche se pochi, che non sono fumatori; in ogni caso ci sono ancora meccanismi che sfuggono al nostro controllo. Questo studio può aiutare a comprendere perché si verificano questi fatti».
Quindi, tirando le somme, nulla è cambiato dal punto di vista medico sulla prevenzione del tumore?
«Le replicazioni cellulari errate sono inevitabili e si verificano in ogni tipo di organismo, ma solo in particolari condizioni casuali possono portare allo sviluppo ditumori. Non tutti i tumori sono prevenibili; per quelli di cui conosciamo gli agenti oncogeni è necessario continuare a perseguire l'eliminazione delle cause, mentre dove ciò non è possibile dobbiamo impegnarci con screening e diagnosi precoce. Non dobbiamo poi dimenticare che uno stile di vita sano mette nelle condizioni di avere maggiore efficienza per tutto l'organismo, e questo in ogni caso torna sempre utile anche in caso di malattia».
Susanna Guzzetti
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