21 marzo 2018
Aggiornamenti e focus
I fattori protettivi dell'Alzheimer
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Sono passati 110 anni dalla descrizione della malattia da parte del tedesco Alzheimer. Sono stati fatti importanti studi neuropatologici, abbiamo a disposizione metodiche diagnostiche molto sofisticate, ma purtroppo la capacità di curare la malattia è rimasta sostanzialmente invariata.
Afferma il prof. Innocenzo Rainero, specialista in Neuroscienze dell'Università di Torino presso la Città della Salute-Molinette: "Non siamo stati in grado - e le scelte di alcune case farmaceutiche devono far riflettere - di trovare strategie d'intervento efficaci. Per questo, è in atto tra i ricercatori un processo di ripensamento che non riguarda solo la malattia di Alzheimer ma molte malattie neurodegenerative fino alla Sla. La domanda che dobbiamo porci è: 'Perché le nostre capacità terapeutiche sono ancora così limitate?".
Fattori protettivi
Accanto a questo interrogativo, le ricerche però continuano a 360 gradi. Uno dei fronti, per esempio, è individuare anche fattori protettivi che possono ridurre il rischio di insorgenza della malattia che oggi in Italia colpisce 1,3 milioni di persone. "Nel 1985 uno studio epidemiologico ha osservato che l'assunzione prolungata di farmaci anti infiammatori non steroidei ha un effetto protettivo e dimezza il rischio di malattia" spiega il prof. Rainero. E ulteriori studi più recenti hanno confermato il ruolo protettivo giocato proprio da questi farmaci. Ovvio che fattori protettivi (e di rischio ) devono sempre essere correlati all'età. "In questo senso, il trattamento con antinfiammatori non steroidei è efficace nella middle age e non oltre. Ma alcuni studi ci dicono che ha addirittura un effetto negativo su soggetti che hanno già la malattia conclamata".
Sappiamo inoltre che l'attività fisica moderata di carattere aerobico riduce il rischio di malattia e che l'attività cognitiva - essenzialmente quella educativa, il curriculum scolastico di una persona - ha un effetto protettivo nei confronti della insorgenza della patologia. Infine - e questo è un concetto che sembra ormai entrato nell'inconscio collettivo - sembra che alcuni tipi di alimentazione sana, in particolate la dieta mediterranea, esercitino un ruolo protettivo. Alimentazione e attività cognitiva possono aiutare non solo nella prevenzione ma anche nel rallentare la progressione della malattia nella fase iniziale.
Nel 2014 è stato chiesto all'Alzheimer Association di fare un'analisi critica per individuare quali di tutti questi fattori - con adeguato supporto scientifico - possono essere consigliati ai pazienti nella loro vita quotidiana. Secondo l'associazione internazionale, oggi abbiamo dati adeguati e scientificamente validi per suggerire attività fisica regolare e un adeguato controllo di tutti i fattori di rischio vascolare. Indicazione che deve entrare nella regolare pratica clinica.
Carla De Meo
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Afferma il prof. Innocenzo Rainero, specialista in Neuroscienze dell'Università di Torino presso la Città della Salute-Molinette: "Non siamo stati in grado - e le scelte di alcune case farmaceutiche devono far riflettere - di trovare strategie d'intervento efficaci. Per questo, è in atto tra i ricercatori un processo di ripensamento che non riguarda solo la malattia di Alzheimer ma molte malattie neurodegenerative fino alla Sla. La domanda che dobbiamo porci è: 'Perché le nostre capacità terapeutiche sono ancora così limitate?".
Fattori protettivi
Accanto a questo interrogativo, le ricerche però continuano a 360 gradi. Uno dei fronti, per esempio, è individuare anche fattori protettivi che possono ridurre il rischio di insorgenza della malattia che oggi in Italia colpisce 1,3 milioni di persone. "Nel 1985 uno studio epidemiologico ha osservato che l'assunzione prolungata di farmaci anti infiammatori non steroidei ha un effetto protettivo e dimezza il rischio di malattia" spiega il prof. Rainero. E ulteriori studi più recenti hanno confermato il ruolo protettivo giocato proprio da questi farmaci. Ovvio che fattori protettivi (e di rischio ) devono sempre essere correlati all'età. "In questo senso, il trattamento con antinfiammatori non steroidei è efficace nella middle age e non oltre. Ma alcuni studi ci dicono che ha addirittura un effetto negativo su soggetti che hanno già la malattia conclamata".
Sappiamo inoltre che l'attività fisica moderata di carattere aerobico riduce il rischio di malattia e che l'attività cognitiva - essenzialmente quella educativa, il curriculum scolastico di una persona - ha un effetto protettivo nei confronti della insorgenza della patologia. Infine - e questo è un concetto che sembra ormai entrato nell'inconscio collettivo - sembra che alcuni tipi di alimentazione sana, in particolate la dieta mediterranea, esercitino un ruolo protettivo. Alimentazione e attività cognitiva possono aiutare non solo nella prevenzione ma anche nel rallentare la progressione della malattia nella fase iniziale.
Nel 2014 è stato chiesto all'Alzheimer Association di fare un'analisi critica per individuare quali di tutti questi fattori - con adeguato supporto scientifico - possono essere consigliati ai pazienti nella loro vita quotidiana. Secondo l'associazione internazionale, oggi abbiamo dati adeguati e scientificamente validi per suggerire attività fisica regolare e un adeguato controllo di tutti i fattori di rischio vascolare. Indicazione che deve entrare nella regolare pratica clinica.
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