25 settembre 2009
Aggiornamenti e focus
Per l’Alzheimer la medicina non basta
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Centoquindici milioni di persone alle prese con l'Alzheimer o problemi di demenza nel 2050. E' quanto emerge da un rapporto del londinese King's College, che rivede al rialzo, con un incremento di ben il 10%, le stime diffuse nel 2005. E le cose, secondo gli esperti, non sembrano destinate a migliorare negli anni a venire. Neanche alle nostre latitudini, dove i malati di Alzheimer aumentano al ritmo di 20mila l'anno, con un sistema sanitario sempre più in difficoltà nel reggere una tale pressione. Sono questi i dati presentati in occasione della Giornata Mondiale dell'Alzheimer. Ma come affrontare questa escalation? La medicina da sola non basta, come evidenziato da due incontri svoltisi a Milano.
L'invecchiamento cerebrale è fortemente legato alla biologia dei soggetti che lo vivono, al loro Dna, ma è altrettanto fortemente legato alle storie dei pazienti. A partire da questo presupposto Peter J. Withehouse, professore di neurologia alla Case Western Universitiy di Cleveland ha creato una banca per custodire le storie dei pazienti, la cui memoria va giorno dopo giorno indebolendosi. Withehouse, intervenuto a un incontro organizzato dalla Federazione Alzheimer Italia e dalla Fondazione Golgi-Cenci, ha raccontato la sua esperienza a Cleveland con il progetto "Storybank" e con la scuola intergenerazionale fnalizzata ad aiutare gli anziani con demenza lieve o moderata attraverso il lavoro e il gioco con gli studenti più giovani. Per alleviare le sofferenze e offrire vera speranza ai malati bisogna far tesoro delle esperienze, perché sono le storie di vita che permettono di capire i bisogni dei pazienti. La malattia infatti "irrompe come punto di crisi esistenziale nella loro soggettività che è fatta di ricordi, valori, aspirazioni e impressioni su sé stessi, sugli altri e sul mondo che li circonda - ha sottolineato Alberto Spagnoli, psicoterapeuta del Centro Sant'Ambrogio Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio. "Se l'Alzheimer fosse solo una malattia da gestire in laboratorio i familiari sarebbero lieti di lasciar fare agli altri - ha ribadito Gabriella Salvini Porro, presidente Federazione Alzheimer Italia di Milano - ma non è così che stanno le cose. La drammatica complessità di questa malattia rende indispensabile una reale collaborazione tra malati, familiari e medici, perché se questi ultimi ignorano la storia di vita e i bisogni del malato, come possiamo studiare una strategia atta a soddisfarli?". E proprio sulla necessità di un modello assistenziale su misura per questi pazienti si è soffermato un altro incontro milanese, organizzato dal settimanale non profit Vita.
"Il tradizionale modello di assistenza alle malattie croniche, costoso, complesso e di lunga durata, rischia di entrare in crisi nel prossimo futuro" ha sottolineato Marco Trabucchi, presidente dell'Associazione italiana di psicogeriatria. Il nuovo modello di assistenza deve vedere un maggiore coinvolgimento delle comunità locali, con la partecipazione delle famiglie nell'attività di assistenza ma anche del non profit, del volontariato e delle libere organizzazioni professionali. Un modo, spiega l'esperto, per costruire un modello assistenziale "più vicino ai bisogni reali e a costi più bassi". Un modo probabilmente per aiutare le famiglie coinvolte nell'assistenza e sempre più in difficoltà in tempi di crisi. Perché come sottolinea Patrizia Spadin, presidente dell'Associazione italiana malattia di Alzheimer "assistiamo impotenti a un progressivo ulteriore isolamento e abbandono dei malati e dei familiari alle prese con problemi sanitari e sociali pressoché irrisolvibili senza l'aiuto delle istituzioni, e oggi alle prese con enormi problemi economici". Ora la speranza è che alle parole e agli annunci, molto comuni in occasione di Giornate mondiali, seguano anche i fatti.
Marco Malagutti
Convegno "Biografia, non solo biologia", Milano 21 settembre
Convegno "Longevità e alzheimer: costruire welfare di comunità", Milano 21 settembre
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L'invecchiamento cerebrale è fortemente legato alla biologia dei soggetti che lo vivono, al loro Dna, ma è altrettanto fortemente legato alle storie dei pazienti. A partire da questo presupposto Peter J. Withehouse, professore di neurologia alla Case Western Universitiy di Cleveland ha creato una banca per custodire le storie dei pazienti, la cui memoria va giorno dopo giorno indebolendosi. Withehouse, intervenuto a un incontro organizzato dalla Federazione Alzheimer Italia e dalla Fondazione Golgi-Cenci, ha raccontato la sua esperienza a Cleveland con il progetto "Storybank" e con la scuola intergenerazionale fnalizzata ad aiutare gli anziani con demenza lieve o moderata attraverso il lavoro e il gioco con gli studenti più giovani. Per alleviare le sofferenze e offrire vera speranza ai malati bisogna far tesoro delle esperienze, perché sono le storie di vita che permettono di capire i bisogni dei pazienti. La malattia infatti "irrompe come punto di crisi esistenziale nella loro soggettività che è fatta di ricordi, valori, aspirazioni e impressioni su sé stessi, sugli altri e sul mondo che li circonda - ha sottolineato Alberto Spagnoli, psicoterapeuta del Centro Sant'Ambrogio Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio. "Se l'Alzheimer fosse solo una malattia da gestire in laboratorio i familiari sarebbero lieti di lasciar fare agli altri - ha ribadito Gabriella Salvini Porro, presidente Federazione Alzheimer Italia di Milano - ma non è così che stanno le cose. La drammatica complessità di questa malattia rende indispensabile una reale collaborazione tra malati, familiari e medici, perché se questi ultimi ignorano la storia di vita e i bisogni del malato, come possiamo studiare una strategia atta a soddisfarli?". E proprio sulla necessità di un modello assistenziale su misura per questi pazienti si è soffermato un altro incontro milanese, organizzato dal settimanale non profit Vita.
"Il tradizionale modello di assistenza alle malattie croniche, costoso, complesso e di lunga durata, rischia di entrare in crisi nel prossimo futuro" ha sottolineato Marco Trabucchi, presidente dell'Associazione italiana di psicogeriatria. Il nuovo modello di assistenza deve vedere un maggiore coinvolgimento delle comunità locali, con la partecipazione delle famiglie nell'attività di assistenza ma anche del non profit, del volontariato e delle libere organizzazioni professionali. Un modo, spiega l'esperto, per costruire un modello assistenziale "più vicino ai bisogni reali e a costi più bassi". Un modo probabilmente per aiutare le famiglie coinvolte nell'assistenza e sempre più in difficoltà in tempi di crisi. Perché come sottolinea Patrizia Spadin, presidente dell'Associazione italiana malattia di Alzheimer "assistiamo impotenti a un progressivo ulteriore isolamento e abbandono dei malati e dei familiari alle prese con problemi sanitari e sociali pressoché irrisolvibili senza l'aiuto delle istituzioni, e oggi alle prese con enormi problemi economici". Ora la speranza è che alle parole e agli annunci, molto comuni in occasione di Giornate mondiali, seguano anche i fatti.
Marco Malagutti
Convegno "Biografia, non solo biologia", Milano 21 settembre
Convegno "Longevità e alzheimer: costruire welfare di comunità", Milano 21 settembre
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