L’antidepressivo si chiama consapevolezza

06 maggio 2015
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L’antidepressivo si chiama consapevolezza



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Una persona consapevole e capace di cambiare il proprio modo di vedere e sentire potrebbe tenere alla larga le ricadute depressive anche senza far ricorso a farmaci. Lo sostengono gli autori di uno studio da poco pubblicato sulla rivista The Lancet che ha confrontato l'efficacia di una terapia cognitiva basata sulla consapevolezza con i classici antidepressivi nell'evitare il ritorno della depressione.

«Oggi il trattamento standard per impedire le ricadute depressive si basa sui farmaci, ma non tutti i pazienti sono in grado di portare avanti con successo una terapia farmacologica sul lungo periodo» dice Richard Byng, della Plymouth University Peninsula Schools of Medicine and Dentistry, nel Regno Unito, uno degli autori dell'articolo, «in alcuni casi il problema sono gli effetti collaterali non tollerabili, in altri il fatto di non essere disposti ad assumere farmaci per tutta la vita».

Un approccio basato su un training di corpo e mente per arrivare a cambiare il modo di sentirsi e di pensare alle proprie esperienze potrebbe essere una soluzione alternativa, e i ricercatori inglesi hanno deciso di valutarla coinvolgendo nel loro studio 424 adulti con depressione maggiore ricorrente e in terapia di mantenimento per evitare le ricadute. «I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: uno che dopo aver interrotto gradualmente la terapia farmacologica ha iniziato il percorso di consapevolezza e uno che invece ha proseguito con gli antidepressivi» precisano gli autori.
E dopo due anni di osservazione le percentuali di ricaduta sono risultate molto simili nei due gruppi: 44 per cento con la terapia cognitiva basata sulla consapevolezza e 47 per cento con i farmaci. «Questi risultati non dimostrano che una terapia è meglio dell'altra, ma di certo offrono un'alternativa a milioni di persone in tutto il mondo a costi contenuti» afferma Willem Kuyken, principale autore del lavoro e professore di psicologia clinica all'Università di Oxford, nel Regno Unito. Anche i pazienti che hanno provato la terapia non farmacologica sono a favore di questa opzione. «Con la consapevolezza ho a disposizione una serie di strumenti e capacità che posso utilizzare per stare bene a lungo, per controllare il mio futuro e per prendere le decisioni più giuste per il mio benessere» sostiene il paziente Nigel Reed.



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