23 marzo 2022
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Demenza: si può prevenire a tavola?
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Dieta ricca di fibre alimentari: rischio ridotto di sviluppare la demenza
Da uno studio pubblicato su Nutritional Neuroscience emerge che una dieta ricca di fibre alimentari si associa a un rischio ridotto di sviluppare la demenza.
Partendo dai risultati di alcune ricerche recenti che suggerivano che le fibre alimentari potessero svolgere un ruolo preventivo nello sviluppo del decadimento cognitivo, un gruppo di ricercatori giapponesi coordinati da Kazumasa Yamagishi, professore di medicina all'Università di Tsukuba, ha analizzato i dati raccolti da migliaia di adulti in Giappone nel corso di un ampio studio iniziato negli anni ottanta del secolo scorso. I partecipanti, generalmente sani di età compresa tra 40 e 64 anni, dopo aver completato sondaggi di valutazione della loro assunzione dietetica tra il 1985 e il 1999 sono stati seguiti dal 1999 al 2020 osservando, tra l'altro, l'eventuale sviluppo di una demenza che richiedeva cure. Il passo successivo è stato di suddividere i dati relativi a un totale di 3.739 adulti in quattro gruppi in base alla quantità di fibre nella dieta. I risultati? I gruppi che consumavano livelli più elevati di fibre avevano un rischio inferiore di demenza, con una correlazione particolarmente forte per le fibre solubili, che si trovano in avena e legumi, rispetto alle insolubili presenti nei cereali integrali e nelle verdure.
«Una possibile spiegazione dei meccanismi alla base dell'associazione, per ora sconosciuti, è che le fibre solubili regolino la composizione dei batteri intestinali, capace a sua volta di mediare lo stato neuroinfiammatorio che svolge un ruolo nello sviluppo della demenza, una malattia devastante che di solito richiede cure a lungo termine» ipotizza Yamagishi. E conclude: «È anche possibile che le fibre alimentari possano ridurre altri fattori di rischio per la demenza, come il peso corporeo, la pressione del sangue nonché i livelli di lipidi e di glucosio. E dato che le ricerche sull'argomento sono ancora in fase iniziale, servono per prima cosa ulteriori studi che confermino l'associazione anche in altre popolazioni».
Fonte: Doctor33
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