25 novembre 2015
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Glaucoma, diagnosi precoce contro il rischio cecità
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Una visita oculistica a 50 anni, e poi controlli ogni due anni: la diagnosi è la vera arma segreta per arrestare il glaucoma, malattia progressiva e invalidante. Oltre ai cinquantenni, un altro gruppo di soggetti a cui è caldamente consigliato la visita dallo specialista è costituito dai parenti - soprattutto se di primo grado - di un caso di glaucoma già diagnosticato: questi infatti hanno un rischio d'insorgenza della malattia 10 volte superiore a quello della popolazione generale.
«La malattia può essere bloccata e gestita in modo appropriato se individuata nei soggetti affetti prima che i danni raggiungano una fase avanzata» questo il messaggio positivo lanciato da Carlo Enrico Traverso,Presidente società europea glaucoma, durante la conferenza stampa della Società oftalmologica italiana, Soi, tenutosi a Milano lo scorso 19 novembre.
«Senza dimenticare che una visita nei soggetti anziani, permette di diagnosticare non solo il rischio di glaucoma, ma anche di altre malattie degenerative che colpiscono l'occhio: degenerazione maculare, retinopatia diabetica e cataratta» ha aggiunto Matteo Piovella, presidente della Società oftalmologica italiana.
Cosa si intende esattamente per glaucoma? «Il glaucoma è una malattia progressiva del nervo ottico che colpisce circa il 2 per cento della popolazione generale, con un aumento di prevalenza nei pazienti anziani, e nei paesi sviluppati rappresenta una delle tre principali cause di perdita irreversibile della vista», spiega Traverso. «Sebbene il trattamento farmacologico, laser e chirurgico abbiano compiuto significativi progressi, il principale fattore che permette di difendersi dalla cecità per glaucoma è giungere a una diagnosi non eccessivamente tardiva».
Il danno al nervo ottico provocato dal glaucoma è quasi sempre collegato a una pressione oculare superiore a quella che l'occhio del soggetto colpito possa sopportare. Ne consegue che la terapia è quasi esclusivamente diretta a normalizzare la pressione oculare.
Si distinguono una forma di glaucoma detta "ad angolo aperto", che è anche la più comune, e una forma "ad angolo chiuso". Nella prima, l'elevata pressione oculare logora a lungo andare il nervo ottico, portando a una compromissione graduale del campo visivo. Uno dei problemi è proprio che la malattia resta asintomatica e mostra i suoi segni quando il danno al nervo ottico è già in una fase piuttosto avanzata: la perdita del campo visivo inizia difatti dalla periferia e non riguarda la visione centrale se non negli stadi molto tardivi; per questo il paziente solitamente non se ne accorge finché il danno non è grave.
Nella seconda forma, la chiusura dell'angolo della camera anteriore dell'occhio può determinare un improvviso incremento della pressione intraoculare, che raggiunge talvolta rapidamente valori elevatissimi, i sintomi sono spesso piuttosto evidenti, per esempio l'arrossamento dell'occhio colpito o l'appannamento improvviso della vista.
«Le terapie per bloccare la cecità sono essenzialmente tre: innanzitutto l'uso di colliri per mantenere sotto controllo il livello della pressione, il laser e gli interventi chirurgici» prosegue Traverso.
Certamente la ricerca scientifica ha portato all'introduzione di nuovi farmaci e nuove terapie, sia laser che chirurgiche. Un passo avanti molto significativo riguarda la possibilità attuale di operare di cataratta pazienti glaucomatosi anche molto complessi, con risultati ottimi e con un notevole margine di sicurezza. Inoltre in casi ben selezionati di glaucoma ad angolo chiuso l'intervento di cataratta è un atto terapeutico: la sostituzione del cristallino naturale con quello artificiale, molto più sottile, riesce a migliorare l'idrodinamica oculare e a far diminuire la pressione oculare. Anche nel trattamento medico i progressi sono stati significativi, grazie allo sviluppo di farmaci in collirio sempre più efficaci nel controllo della pressione oculare e pressoché privi di effetti sistemici avversi.
«Il progresso tecnologico è stato e rimarrà un fattore determinante per migliorare l'efficacia delle terapie, come del resto è evidente anche in altri campi della chirurgica oculare. Negli ultimi 6-7 anni sono stati proposti interventi meno invasivi molto interessanti e promettenti. Ma nel dare un giudizio complessivo bisogna essere a mio avviso molto prudenti, perché non sono ancora disponibili per tutte queste tecnologie dati esaurienti sulla loro efficacia e sicurezza a lungo termine» conclude Traverso.
Ilaria Pedretti
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