Epilessia sotto i riflettori: terapie, nuovi studi e diritti dei malati

10 ottobre 2016
Interviste

Epilessia sotto i riflettori: terapie, nuovi studi e diritti dei malati



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"L'epilessia esiste. Parliamone" è il titolo dell'incontro organizzato a Milano il 29 settembre dalla Federazione italiana epilessie (Fie). «Un titolo che suona come una chiamata a impegnarsi per dare visibilità a questa patologia di cui ancora oggi si parla troppo poco» spiega Rosa Cervellione, presidentessa Fie. E Francesca Sofia, direttore scientifico della Federazione ci accompagna in un viaggio attraverso le tematiche scientifiche affrontate nel corso del convegno, incluso lo studio innovativo promosso da Fie, da sempre a sostegno della ricerca e dei diritti del paziente.

Per prima cosa, dottoressa Sofia, parliamo della patologia. Di cosa si tratta e quante persone colpisce?
«L'epilessia è un fenomeno per cui si generano nel cervello scariche elettriche anomale tra gruppi di neuroni che normalmente comunicano tra loro scambiandosi segnali che sono proprio impulsi elettrici. Quando questa segnalazione va in tilt (epilessia) la scarica elettrica è incontrollata e determina invio di messaggi confusi al resto del corpo che si possono manifestare in varie forme, dalle più note crisi convulsive alle assenze, interruzioni dello stato di coscienza nelle quali i malati perdono il contatto con il mondo circostante. E queste sono solo due esempi, esiste infatti una grande varietà di crisi epilettiche, per una patologia che interessa 50 milioni di persone nel mondo, 6 milioni in Europa e 500mila in Italia. Nel nostro paese ogni anno sono circa 32mila le nuove diagnosi».

E quali sono le cause di questa patologia? Contano gli stili di vita o si tratta di un problema genetico?
«Le cause dell'epilessia rimangono ancora in gran parte misteriose, sebbene se ne conoscano molte: mutazioni in diversi geni, traumi o ictus, lesioni congenite, tumori e molto altro ancora. Circa la metà delle persone con l'epilessia non conosce la causa della malattia e in alcuni gruppi di pazienti la percentuale raggiunge addirittura l'80 per cento. C'è ancora molto da scoprire sulla cosiddetta epilettogenesi (ciò che scatena la malattia) e sul processo molecolare secondo il quale si genera la crisi, ma di certo la genetica gioca un ruolo importante: anche nelle forme secondarie, quelle che si manifestano in seguito per esempio a un trauma una neoplasia, la predisposizione genetica conta tantissimo».

Per capire (ed eventualmente curare) l'epilessia bisogna quindi puntare sui geni?
«Oggi abbiamo a disposizione circa 40 farmaci per il trattamento dell'epilessia, che agiscono tutti sul segnale nervoso alterato. Questo armamentario, tra l'altro poco cambiato negli ultimi anni, deve essere sostituito da terapie più mirate anche alla luce del fatto che oggi molte persone sono resistenti alle terapie disponibili. Attualmente lavoriamo sul fenomeno a valle, sul sintomo, mentre sappiamo poco delle reali cause della patologia. Abbiamo bisogno di terapie che modifichino la malattia e non più solo di farmaci che controllano il sintomo (o cercano di farlo) e abbiamo anche bisogno di identificare bersagli molecolari, biomarcatori per seguire la malattia e la risposta al farmaco, modelli preclinici per gli studi, eccetera, e per tutte queste ragioni l'epilessia si presta molto bene a studi whole-genome che prevedono il sequenziamento di tutto il Dna».

È questa la base per lo studio clinico presentato da Fie?
«Nel nostro progetto, proiettato nel futuro, abbiamo deciso di partire dall'inizio, di capire le cause della malattia e lo vogliamo fare analizzando il Dna di un gruppo di bambini - 350 per iniziare - affetti da encefalopatie epilettiche, le forme più gravi della malattia che esordiscono in età neonatale e infantile, spesso resistenti ai farmaci e spesso associate ad altre disabilità cognitive o motorie. Al di là dell'eventuale causa genetica dell'epilessia, la mappa completa del genoma di un paziente permetterà di scoprire anche molte altre informazioni utili, come per esempio la capacità del piccolo paziente di metabolizzare i farmaci e quindi di trarre vantaggio dal trattamento. Infine, altro aspetto fondamentale, lo studio prevede la partecipazione di centri clinici di eccellenza che raccoglieranno ed elaboreranno le informazioni cliniche su pazienti e malattie. Dall'unione dei risultati genetici e di quelli clinici si potrà davvero arrivare a una medicina su misura».



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