05 marzo 2004
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Non è discriminazione ma, davvero, donne e uomini sono differenti sotto il profilo del rischio cardiovascolare. Ne prende atto l'American Heart Association nel comunicare la revisione delle linee guida per la prevenzione di infarto, ischemia e le altre patologie associate, dedicate espressamente alla popolazione femminile. Le indicazioni dei cardiologi statunitensi riguardano sia la prevenzione attraverso i farmaci sia le modificazioni dello stile di vita. Mentre queste ultime sono rivolte a tutte le donne indiscriminatamente, per quanto riguarda i diversi interventi farmacologici (rivolti all'ipertensione, alla colesterolemia...) la scelta va guidata in funzione del livello di rischio della donna.
Le linee guida prevedono tre fasce di popolazione in base alla minore o maggiore possibilità che si presenti un infarto nei successivi 10 anni. Il calcolo del rischio viene effettuato sulla base dei parametri messi a punto in base al Framingham Heart Study, il primo e più lungo studio che ha coinvolto una comunità nel valutare il peso di diversi disturbi (per esempio il livello di colesterolo) e abitudini (per esempio il fumo) nello sviluppo della malattie cardiovascolari. Tra i principali di questi fattori vi sono appunto l'età, l'abitudine al fumo, i livelli di colesterolo e i valori della pressione arteriosa.
In base a questo criterio si distinguono tre fasce:
Innanzitutto, le misure uguali per tutte. Nelle linee guida si raccomanda di smettere di fumare, di tenere sotto controllo il peso corporeo e di adottare una dieta non aterogena, cioè che non favorisca lo sviluppo di aterosclerosi (formazione della placca di colesterolo sulla parete delle arterie). Quindi un'alimentazione centrata su frutta, verdura e cereali integrali e, in compenso, pochi grassi di origine animale (latte, burro, formaggi ma anche le carni grasse).
Quanto ai farmaci, sono interessanti soprattutto le esclusioni: si raccomanda di non intraprendere la terapia ormonale sostitutiva o l'assunzione sistematica di antiossidanti (vitamine C ed E, per esempio), in quanto non vi sono prove che abbiano un effetto protettivo. Anzi, gli ultimi grandi studi condotti al riguardo smentirebbero questo effetto. Un altro aspetto importante è la profilassi antiaggregante, cioè l'uso di farmaci per prevenire la formazione di trombi rendendo, per così dire, più fluido il sangue. Il farmaco più usato è da anni l'aspirina, tuttavia secondo l'American Heart Association andrebbe riservato alle donne a elevato rischio cardiovascolare, oppure a quelle a rischio intermedio posto che la pressione arteriosa sia sotto controllo. Negli altri casi, il rischio di emorragie gastrointestinali e di ictus superano gli eventuali benefici.
Occorre più consapevolezza
Per il resto, in funzione del livello di rischio si prevede una terapia via via più aggressiva, con l'uso anche di più farmaci per mantenere normale la pressione e ridurre il livello di colesterolo e/o trigliceridi. Tuttavia a questo proposito vi sono alcune differenze tra la "scuola americana" e quella europea, ma si tratta più che altro della scelta del farmaco e non dell'obiettivo.
Soprattutto, però, i cardiologi ritengono che il requisito fondamentale per la prevenzione sia essere consapevoli del rischio: ancora troppe donne (e troppi medici) sottovalutano il peso dei problemi cardiocircolatori nella donna, ritenendo che infarto e coronaropatie riguardino soprattutto la popolazione maschile. Questo in realtà è vero solo prima della menopausa, quando il diverso equilibrio ormonale favorisce la donna, anche in termini di elasticità delle arterie. Col cessare dell'attività ovarica (e il calo degli estrogeni) il vantaggio sparisce e, in più, spesso la presentazione della malattia nella donna è più subdola. In tutti i paesi industrializzati, infatti, le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nella popolazione femminile e non, come si potrebbe credere, il carcinoma della mammella o gli altri tumori specifici della donna.
Maurizio Imperiali
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Un calcolo delle probabilità
Le linee guida prevedono tre fasce di popolazione in base alla minore o maggiore possibilità che si presenti un infarto nei successivi 10 anni. Il calcolo del rischio viene effettuato sulla base dei parametri messi a punto in base al Framingham Heart Study, il primo e più lungo studio che ha coinvolto una comunità nel valutare il peso di diversi disturbi (per esempio il livello di colesterolo) e abitudini (per esempio il fumo) nello sviluppo della malattie cardiovascolari. Tra i principali di questi fattori vi sono appunto l'età, l'abitudine al fumo, i livelli di colesterolo e i valori della pressione arteriosa.
In base a questo criterio si distinguono tre fasce:
- Alto rischio: le donne che hanno il 20% o più di possibilità di avere un infarto entro 10 anni
- Rischio intermedio: le donne che hanno dal 10 al 20% possibilità di avere un infarto entro 10 anni
- Basso rischio: le donne con meno del 10% di possibilità di avere un infarto entro 10 anni
Come prevenire
Innanzitutto, le misure uguali per tutte. Nelle linee guida si raccomanda di smettere di fumare, di tenere sotto controllo il peso corporeo e di adottare una dieta non aterogena, cioè che non favorisca lo sviluppo di aterosclerosi (formazione della placca di colesterolo sulla parete delle arterie). Quindi un'alimentazione centrata su frutta, verdura e cereali integrali e, in compenso, pochi grassi di origine animale (latte, burro, formaggi ma anche le carni grasse).
Quanto ai farmaci, sono interessanti soprattutto le esclusioni: si raccomanda di non intraprendere la terapia ormonale sostitutiva o l'assunzione sistematica di antiossidanti (vitamine C ed E, per esempio), in quanto non vi sono prove che abbiano un effetto protettivo. Anzi, gli ultimi grandi studi condotti al riguardo smentirebbero questo effetto. Un altro aspetto importante è la profilassi antiaggregante, cioè l'uso di farmaci per prevenire la formazione di trombi rendendo, per così dire, più fluido il sangue. Il farmaco più usato è da anni l'aspirina, tuttavia secondo l'American Heart Association andrebbe riservato alle donne a elevato rischio cardiovascolare, oppure a quelle a rischio intermedio posto che la pressione arteriosa sia sotto controllo. Negli altri casi, il rischio di emorragie gastrointestinali e di ictus superano gli eventuali benefici.
Occorre più consapevolezza
Per il resto, in funzione del livello di rischio si prevede una terapia via via più aggressiva, con l'uso anche di più farmaci per mantenere normale la pressione e ridurre il livello di colesterolo e/o trigliceridi. Tuttavia a questo proposito vi sono alcune differenze tra la "scuola americana" e quella europea, ma si tratta più che altro della scelta del farmaco e non dell'obiettivo.
Soprattutto, però, i cardiologi ritengono che il requisito fondamentale per la prevenzione sia essere consapevoli del rischio: ancora troppe donne (e troppi medici) sottovalutano il peso dei problemi cardiocircolatori nella donna, ritenendo che infarto e coronaropatie riguardino soprattutto la popolazione maschile. Questo in realtà è vero solo prima della menopausa, quando il diverso equilibrio ormonale favorisce la donna, anche in termini di elasticità delle arterie. Col cessare dell'attività ovarica (e il calo degli estrogeni) il vantaggio sparisce e, in più, spesso la presentazione della malattia nella donna è più subdola. In tutti i paesi industrializzati, infatti, le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nella popolazione femminile e non, come si potrebbe credere, il carcinoma della mammella o gli altri tumori specifici della donna.
Maurizio Imperiali
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