Cuore femminile ancora indifeso

23 giugno 2006
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Cuore femminile ancora indifeso



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Se fino nel recente passato il rischio di incorrere in un infarto miocardico (IMA) riguardava quasi solo gli uomini, oggi non sono esenti neanche le donne, che hanno un'aspettativa di vita di trent'anni o più senza la protezione cardiovascolare consentita prima della menopausa dagli estrogeni, e ancora prima di quest'evento assumono stili di vita che le espongono in crescendo agli stessi fattori predisponenti maschili. La percezione del rischio cardiovascolare femminile è però scarsa e sulla prevenzione e i controlli si insiste ancora poco, sembra si ritardi anche di più nel rivolgersi all'ospedale per sospetto IMA (lo stesso per l'ictus). Sono osservazioni che si sentono fare sempre più spesso, che emergono dai dati epidemiologici e vengono riprese nelle campagne di sensibilizzazione sulle cardiopatie. E una certa sottovalutazione in merito sarebbe presente non solo a livello di popolazione generale, ma anche di approccio medico-sanitario, stando a ricerche che hanno mostrato una certa diversità di atteggiamento sia diagnostico sia terapeutico e un minor peso dato a prevenzione ed educazione nei confronti di pazienti di sesso femminile. Il problema è comune in Occidente e servono cambiamenti di rotta, ricordando che in tutti i paesi industrializzati le cardiovasculopatie sono la prima causa di morte per malattia per le donne come per gli uomini. In cerca di strategie, a parte l'educazione sanitaria, un esempio interessante di ambito medico viene da alcuni ospedali del Michigan dove si è implementato un metodo in uso per migliorare l'approccio clinico e quindi la prognosi nei pazienti colpiti da infarto miocardico.

Approcci clinici meno intensivi


Il programma utilizzato ha come acronimo GAP (Guidelines Applied in Practice) ed è un protocollo per l'applicazione nella pratica delle linee guida dell'American college of cardiology sull'infarto miocardico. Il protocollo aumenta il ricorso alla medicina dell'evidenza (EBM) che comprende l'uso di determinati farmaci, oggi considerata ottimale ma a volte omessa negli ospedali, e che sensibilizza meglio i pazienti con il counselling scritto sull'uso dei farmaci, i controlli e gli obiettivi di prevenzione, fornito sia all'arrivo sia alla dimissione: secondo riscontri recenti, il ricorso al Gap consente di ridurre la mortalità per IMA, calcolata sia a un mese sia a un anno.
Problemi che penalizzano le donne sono il fatto che se colpite da infarto giungono all'ospedale con sintomi diversi dagli uomini, più facilmente con nausea e vomito, dolore al collo o alla schiena, dispnea cioè difficoltà a respirare e meno frequentemente con dolore toracico; inoltre che sono più anziane e arrivano più tardi al soccorso. Per questo, si ritiene, è meno facile che ricevano le cure, come l'angioplastica coronarica, entro le due ore raccomandate, e ricevono trattamenti meno intensivi rispetto agli uomini. Uno studio condotto sui benefici del GAP e appena pubblicato ha analizzato una casistica di pazienti con IMA, per metà circa donne di età media 75 anni e per metà uomini di età media 69, confrontando il trattamento prima e dopo implementazione del GAP. E' risultato che le donne post-Gap, che più spesso erano ipertese o con insufficienza cardiaca rispetto agli uomini, hanno comunque ricevuto in seguito all'implementazione più farmaci come acido acetilsalicilico (ASA) entro 24 ore dall'ammissione; uomini e donne post-GAP l'ASA e farmaci beta-bloccanti alla dimissione; gli uomini post-GAP anche farmaci per abbassare il colesterolo e antipertensivi, più delle donne. Le donne post-GAP hanno ricevuto meno di frequente degli uomini la documentazione informativa sull'uso di farmaci alla dimissione, nonostante questo riducesse di più la mortalità che negli uomini. Complessivamente l'implementazione del GAP ha ridotto la mortalità negli uomini e nelle donne, anche se quella femminile è rimasta più alta di quella maschile: a sfavore delle donne hanno pesato l'età più avanzata e forse un'incertezza dei medici sui potenziali benefici dei farmaci dell'EBM, oltre al minor uso di vademecum alla dimissione. Proprio perché l'efficacia del GAP potenziato si è dimostrata in donne anziane questo indica però che l'approccio non va riservato a pazienti giovani: in sostanza il beneficio c'è in entrambi i sessi e indipendentemente dall'età.

L'utilità del vademecum alla dimissione


Fornire la documentazione informativa in uscita dall'ospedale è apparso importante per i pazienti, perché li educava sulla loro condizione e sul modo di partecipare attivamente al programma di cura nella fase post-dimissione. Nello studio essa comprendeva istruzioni sull'assunzione di farmaci; obiettivi da raggiungere rispetto al controllo dei livelli ematici di colesterolo, all'interruzione dell'eventuale fumo, alla correzione dell'alimentazione e all'esercizio fisico; spiegazioni sulla patologia cardiaca; istruzioni per i controlli nella pianificazione con il medico di base. Il tutto veniva spiegato alla dimissione attraverso il counselling con un medico e un'infermiera, che firmavano il vademecum quando erano certi che il paziente ne avesse compreso esattamente i contenuti. Il documento era utile anche per i medici che erano più sensibilizzati alla prescrizione dei farmaci indicati secondo l'EBM (se non erano prescritti andava specificato il motivo). Secondo gli autori dello studio, il successo nel raggiungimento degli obiettivi di trattamento e di prevenzione rispetto agli stili di vita, anche con strumenti di questo tipo, può avere effetti moltiplicativi e non solo additivi, così come per il rischio cardiovascolare associato a fattori predisponenti multipli.

Elettra Vecchia



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