13 febbraio 2008
Aggiornamenti e focus
Colesterolo, caccia ai geni
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Alla base del colesterolo alto, inteso come pericolose LDL, ci sono anche errori dietetici, ma i fattori in gioco possono essere diversi, non esclusa la predisposizione genetica. Da tempo si è identificata l'ipercolesterolemia familiare e si sono individuati determinanti della concentrazione plasmatica delle lipoproteine come apolipoproteine B ed E ligande per recettori delle LDL ed endoproteasi che sono deficitari nella patologia. Questi e altri polimorfismi genici già identificati o candidati riescono però a spiegare solo una piccola parte delle variazioni relative alle LDL a livello di popolazione: negli studi di tipo familiare l'ereditabilità inciderebbe infatti per circa il 40%. Si continua quindi la caccia ad altri determinanti, oggi possibile con la ricerca di polimorfismi a singolo nucleotide (SNP, suonano snip), cioè variazioni in una sequenza di basi in un solo nucleotide che è l'elemento costituente, il mattone, del gene. Integrando queste tecniche con gli studi epidemiologici sarà possibile saperne di più sulla variabilità nella concentrazione del colesterolo LDL e in definitiva l'auspicio è individuare nuovi target terapeutici sempre più mirati.
Un nuovo tassello si è appena aggiunto con uno studio pubblicato sul Lancet che conferma ed estende un'associazione già emersa. La maggior parte degli SNP legati ai livelli ematici di colesterolo LDL si trovano all'interno o vicino a geni che sono appunto coinvolti nel metabolismo delle LDL (quelli per i recettori, per le apolipoproteine, per l'enzima HMGCoA reduttasi e altri). Tra le associazioni identificate ce n'è una marcata di uno SNP nella zona cromosomica 1p13.3 che si è visto legata a una diminuzione di 5-8 mg/dl delle LDL. Da qui il nuovo studio, che ha analizzati i dati di oltre 11.000 partecipanti britannici a cinque altre ricerche e relativi al colesterolo LDL, combinandoli con i dati di due studi di popolazione. I complicati calcoli della metanalisi hanno confermato l'esistenza di SNP nel 1p13.3 associati alla colesterolemia LDL, evidenziando un nuovo locus precedentemente non messo in relazione alle LDL, che può spiegare circa l'1% delle variazioni della concentrazione di questa frazione di colesterolo. I risultati concordano anche con quelli di una precedente ricerca statunitense su 28.000 persone. Negli studi condotti prima di quello britannico uno degli SNP legati alle LDL era stato associato a una diminuzione del 20% del rischio d'infarto miocardico; inoltre l'aumentata espressione epatica di un SNP di quella regione ha fatto pensare ad alterazioni connesse con il colesterolo LDL. Il mosaico è comunque complesso, le tessere sono probabilmente moltissime e più si cerca più se ne scoprono.
Un'altra complicazione, per cui occorrono studi su popolazioni diverse, è costituita dalla presenza di caratteristiche genetiche su base etnica. Nella ricerca britannica ovviamente l'associazione osservata riguardava una specifica coorte europea, e si sa che ci sono differenze genotipiche tra diverse popolazioni, per esempio varianti relative all'endoproteasi PCSK9 e all'enzima HMGCoA reduttasi sono associate a riduzione delle LDL negli afroamericani ma non negli americani di origine europea. In sostanza, si domanda l'editoriale, che cosa ci dice il genoma rispetto al colesterolo LDL? Le decisioni terapeutiche possono essere guidate dalle informazioni cliniche e di laboratorio, tuttavia, si precisa, in vista dell'eterogeneità che si sta delineando, le misurazioni standard potrebbero non riflettere la molteplicità fenotipica, cioè delle caratteristiche legate al genotipo, in relazione alla fisiopatologia e in definitiva alla risposta ai farmaci. In aggiunta all'identificazione di nuovi target terapeutici, si conclude, la scoperta dei polimorfismi genetici coinvolgenti le LDL e altri marcatori di rischio cardiovascolare potrebbe permettere di inquadrare specifiche categorie fenotipiche che richiedono trattamenti diversi, oltre che d'identificare individui a rischio particolarmente elevato. L'interesse è dunque ampio e la ricerca attivamente impegnata: anche quella italiana, come mostra un recente studio del CNR di Cagliari sugli SNP di 4.300 sardi, parte di uno studio internazionale su 20.000 individui dal quale sono stati scoperti sette nuovi geni legati all'aumento del colesterolo LDL e dei trigliceridi e se ne sono confermati altri undici già individuati precedentemente.
Elettra Vecchia
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...e inoltre su Dica33:
La chiave negli SNP, a singolo nucleotide
Un nuovo tassello si è appena aggiunto con uno studio pubblicato sul Lancet che conferma ed estende un'associazione già emersa. La maggior parte degli SNP legati ai livelli ematici di colesterolo LDL si trovano all'interno o vicino a geni che sono appunto coinvolti nel metabolismo delle LDL (quelli per i recettori, per le apolipoproteine, per l'enzima HMGCoA reduttasi e altri). Tra le associazioni identificate ce n'è una marcata di uno SNP nella zona cromosomica 1p13.3 che si è visto legata a una diminuzione di 5-8 mg/dl delle LDL. Da qui il nuovo studio, che ha analizzati i dati di oltre 11.000 partecipanti britannici a cinque altre ricerche e relativi al colesterolo LDL, combinandoli con i dati di due studi di popolazione. I complicati calcoli della metanalisi hanno confermato l'esistenza di SNP nel 1p13.3 associati alla colesterolemia LDL, evidenziando un nuovo locus precedentemente non messo in relazione alle LDL, che può spiegare circa l'1% delle variazioni della concentrazione di questa frazione di colesterolo. I risultati concordano anche con quelli di una precedente ricerca statunitense su 28.000 persone. Negli studi condotti prima di quello britannico uno degli SNP legati alle LDL era stato associato a una diminuzione del 20% del rischio d'infarto miocardico; inoltre l'aumentata espressione epatica di un SNP di quella regione ha fatto pensare ad alterazioni connesse con il colesterolo LDL. Il mosaico è comunque complesso, le tessere sono probabilmente moltissime e più si cerca più se ne scoprono.
Differenze a livello di popolazione
Un'altra complicazione, per cui occorrono studi su popolazioni diverse, è costituita dalla presenza di caratteristiche genetiche su base etnica. Nella ricerca britannica ovviamente l'associazione osservata riguardava una specifica coorte europea, e si sa che ci sono differenze genotipiche tra diverse popolazioni, per esempio varianti relative all'endoproteasi PCSK9 e all'enzima HMGCoA reduttasi sono associate a riduzione delle LDL negli afroamericani ma non negli americani di origine europea. In sostanza, si domanda l'editoriale, che cosa ci dice il genoma rispetto al colesterolo LDL? Le decisioni terapeutiche possono essere guidate dalle informazioni cliniche e di laboratorio, tuttavia, si precisa, in vista dell'eterogeneità che si sta delineando, le misurazioni standard potrebbero non riflettere la molteplicità fenotipica, cioè delle caratteristiche legate al genotipo, in relazione alla fisiopatologia e in definitiva alla risposta ai farmaci. In aggiunta all'identificazione di nuovi target terapeutici, si conclude, la scoperta dei polimorfismi genetici coinvolgenti le LDL e altri marcatori di rischio cardiovascolare potrebbe permettere di inquadrare specifiche categorie fenotipiche che richiedono trattamenti diversi, oltre che d'identificare individui a rischio particolarmente elevato. L'interesse è dunque ampio e la ricerca attivamente impegnata: anche quella italiana, come mostra un recente studio del CNR di Cagliari sugli SNP di 4.300 sardi, parte di uno studio internazionale su 20.000 individui dal quale sono stati scoperti sette nuovi geni legati all'aumento del colesterolo LDL e dei trigliceridi e se ne sono confermati altri undici già individuati precedentemente.
Elettra Vecchia
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