Ipertensione da non dimenticare

08 giugno 2007
Aggiornamenti e focus

Ipertensione da non dimenticare



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Gli sforzi per combattere l'ipertensione hanno contribuito a ridurre negli ultimi decenni malattie e morti cardiocerebrovascolari ma si è arrivati a un livellamento e c'è un gran numero di persone a rischio con valori pressori non controllati. La preoccupazione è espressa da Michael Weber, uno degli autori del rapporto "Ipertensione e politica della salute: dove siamo e dove dobbiamo andare", presentato al Parlamento Europeo in occasione della 3° Giornata mondiale dell'ipertensione proclamata il 17 maggio scorso. Un evento che ha coinvolto 26 paesi con iniziative per sensibilizzare su un problema sottovalutato: già ora riguarda oltre un miliardo di persone in tutto il mondo, un adulto su quattro, in quasi metà dei casi senza che avvertano sintomi, ma con un incremento previsto dal rapporto per il 2025 a più di 1,5 miliardi, che per i paesi più sviluppati significherà passare da 333 milioni a 413. Un aumento sostenuto in Occidente dall'invecchiamento delle popolazioni (colpisce però anche da giovani) e da stili di vita insalubri, ma che coinvolgerà sempre più anche le nazioni meno sviluppate, in particolare quelle a rapida occidentalizzazione. Quanto all'Italia, sembra che il 30% dei connazionali, circa 15 milioni di persone, abbia valori di pressione fuori norma, e che uno su cinque non sia adeguatamente trattato.Rischio infarto, ictus, insufficienza renale

Non dimenticare l'ipertensione, è il monito di un editoriale sul Lancet che ricorda come a essa siano attribuite attualmente circa 7 milioni di morti all'anno per malattie cardiovascolari. Prevenire e poi diagnosticare e curare questa malattia, che è più un fattore di rischio di malattia, permette infatti di prevenire prima di tutto le cardiopatie (probabilità due o tre volte più elevata), ma anche ictus cerebrali (ai quali è legata nel 70% dei casi), insufficienze renali (è presente nel 60% dei casi), cecità per via della retinopatia, demenze vascolari. Il rischio di attacco cardiaco o ictus con esito fatale raddoppia per ogni aumento di 20 mmHg di pressione sistolica o 10 mmHg di pressione diastolica. Non solo, è emerso in questi anni che valori prima considerati normali o tra normali ed elevati, rispetto alla soglia dei 140-90, si associano a una sostanziale probabilità di complicanze cardiovascolari: è il concetto, a dire il vero controverso, di pre-ipertensione, intesa come pressione sistolica di 120-139 e diastolica di 80-89. Una situazione che presenterebbe il 37,4% degli americani sopra i 20 anni e che andrebbe individuata e potenzialmente trattata, secondo il rapporto e i cardiologi statunitensi: tesi non condivisa per il trattamento, sottolinea l'editoriale, dalle linee guida che suggeriscono per la pre-ipertensione, in assenza di altri fattori di rischio coronarico, quali per esempio il diabete, d'intervenire sullo stile di vita.

In primo piano lo stile di vita

E' quest'ultimo il punto cruciale sul quale si richiama l'attenzione: non a caso il tema della 3° edizione della Giornata è "Alimentazione sana-Pressione Sana". Si raccomandano strategie sanitarie, interventi a livello delle comunità e delle scuole che aumentino la consapevolezza sui fattori comportamentali direttamente legati allo sviluppo dell'ipertensione: l'obesità, la mancanza d'esercizio fisico, il fumo, l'eccessiva assunzione di sale, l'abuso di alcol. E al tempo stesso quella sull'importanza sia della diagnosi precoce, con lo screening da effettuare approfittando delle visite mediche per qualsiasi ragione, sia dell'aderenza alle terapie, la cui scarsità insieme al sotto-trattamento della patologia richiede correttivi. Per arrivare ai traguardi il rapporto identifica cinque priorità per governi, organizzazioni sanitarie e associazioni mediche: riconoscere l'ipertensione come epidemia e urgenza di sanità, raggiungere il consenso sui criteri di gestione, potenziare il fronte difensivo costituito da medici di base e specialisti, garantire agli ipertesi educazione e opzioni terapeutiche che tengano conto del problema aderenza, promuovere nuovi studi di costo/beneficio rispetto a obiettivi più ambiziosi di trattamento. Senza dimenticare che l'intento, oltre a salvare vite ed evitare malattie, è tagliare costi sanitari che potrebbero diventare insostenibili.

Elettra Vecchia



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