Più invasiva ma più efficace

05 maggio 2004
Aggiornamenti e focus

Più invasiva ma più efficace



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L'ernia addominale si verifica quando gli organi contenuti nell'addome trovano un varco attraverso difetti congeniti o acquisiti del tessuto di sostegno.
Le ernie più comuni sono quelle che riguardano proprio la cavità addominale con rottura dell'orifizio inguinale (nei soggetti maschi) e della fascia della coscia (nelle femmine), ma esistono anche ernie crurali, ombelicali e diaframmatiche.
Fino agli anni '80 il metodo standard per intervenire consisteva nel suturare le strutture che circondavano l' ernia, così da farla rientare. Ma la tecnica comportava la formazione di una tensione a livello della linea di sutura, una complicanza che condizionava l'esito della guarigione.

Senza tensione


Alcuni ricercatori avanzarono l'ipotesi di poter intervenire evitando tale tensione, il conseguente dolore postoperatorio e il rischio di recidiva. Il metodo proposto prevede l'impiego di materiale protesico, si applicano infatti delle "reti", una sorta di garza di materiale biologicamente inerte e compatibile, che servono proprio per contenere la massa protrusa ed evitare che questa spinga dopo l'intervento. Questo tipo di intervento è quindi diventato lo standard chirurgico per riparare le ernie inguinali in associazione a un approccio laparoscopico mini-invasivo. L'intervento quindi si esegue per via trans-addominale e il punto in cui è presente l'ernia viene rinforzato da un'ampia protesi reticolare.
Per quanto la laparoscopia sia un metodo valido, non è ancora stato chiarito se in questo caso sia meglio procedere in questo modo od operare a campo aperto, cioè con un'ampia incisione della zona. L'analisi dei dati di letteratura ha spesso portato a risultati contrastanti, ma uno studio prospettico comparso su The New England Journal of Medicine potrebbe chiarire la questione.

Meglio aprire


Per verificare la validità delle due tecniche sono stati seguiti per due anni quasi 2000 uomini che si erano sottoposti a intervento chirurgico per l'ernia inguinale. La recidiva era molto più frequente, più del doppio (rischio relativo 2,2) nei pazienti in cui l'operazione era stata fatta in laparoscopia rispetto a quelli in cui era stato eseguita "in aperto". Stessi risultati, anche se con rischio più basso, 1,3, per le complicanze durante e dopo l'operazione. Come ci si poteva aspettare la laparoscopia comportava meno dolore iniziale e la possibilità di tornare alle normali attività un po' prima. Tuttavia a distanza di due settimane dall'intervento il dolore era pressoché confrontabile tra i due gruppi e dopo tre mesi non c'era differenza nel livello di attività sostenibile. Le differenze infine si annullavano quando si interveniva su recidive: a quel punto i tassi di successive ernie erano simili.
Alla luce dei dati raccolti, gli autori raccomandano ai pazienti che si sottopongono per la prima volta alla chirurgia per riparare l'ernia inguinale, di ricorrere all'intervento a campo aperto.

Simona Zazzetta



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