Non solo per il cancro

11 aprile 2003
Aggiornamenti e focus

Non solo per il cancro



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Anche chi soffre di AIDS o di gravi malattie neurologiche, di insufficienza respiratoria o di scompenso cardiaco, ed in generale di malattie letali diverse dal cancro, deve beneficiare di un miglior controllo dei sintomi, di un sostegno psicologico e di tutti gli interventi messi in atto dalle équipe di cure palliative per migliorare la qualità della vita. Le differenze qualitative nei bisogni del malato riguardano sia i sintomi sia il rapporto tra cure ordinarie e palliative. Se nel malato di cancro possono, infatti, presentarsi tutti i sintomi possibili, ma tipici sono il dolore, la mancanza di appetito e il dimagrimento; nel malato di cuore e di polmoni è tipica la mancanza di fiato (dispnea) e nel malato neurologico appaiono, invece, sintomi nuovi e diversi, che hanno a che fare con la vita di relazione (movimento, comunicazione, comprensione e ragionamento). Circa il rapporto tra i due tipi di cure, per lo più nel malato di cancro le cure specifiche vengono sospese e sostituite con quelle palliative, mentre negli altri tipi di malattie entrambe le cure proseguono.

Insufficienza respiratoria e palliazione


Il primo aspetto è quello dell'insufficienza respiratoria acuta e cronica tipica sia delle broncopneumopatie croniche, sia di molte malattie neuromuscolari e della gabbia toracica. Al recente X congresso nazionale della Società Italiana di Cure Palliative (SICP) ne ha parlato Carlo Sturani del reparto di Pneumologia e Terapia Intensiva Respiratoria di Mantova. Si tratta di un settore dove la definizione di risorse e cure palliative è largamente sottostimata e la maggior parte dei pazienti deve spesso confrontarsi con dilemmi etici e decisioni sulle terapie palliative nel decorso della malattia.
Non è raro, infatti, il caso di episodi improvvisi e con rischio di morte per insufficienza respiratoria acuta che costringono i pazienti e le loro famiglie a decidere sull'appropriatezza di terapie di supporto vitale, per le quali sono in genere poco preparati. Una scelta che se da una parte può permettere di ritornare ad un livello di vita accettabile e produttivo dall'altra può avere come effetto quello di prolungare il processo della morte. Ecco perché durante gli episodi acuti si chiede ai medici di assistere i pazienti nella scelta tra terapie life-support e palliative fornendo stime sulle probabilità di sopravvivenza o di svezzamento dalla ventilazione meccanica. Come sottolineato da Sturani la ventilazione non invasiva ha assunto un ruolo rilevante nella fase terminale di questi pazienti poiché riduce la dispnea, prolunga la vita, permette di comunicare e di alimentarsi, consente una minore sedazione nei pazienti che decidono di non essere intubati. Va detto che è in atto un cambiamento culturale significativo. Se, infatti, scopo della terapia intensiva era rianimare un paziente a qualsiasi costo, oggi si dà sempre più peso alla volontà del paziente e all'evitare le terapie futili e sproporzionate per eccesso, ma anche al controllare la sofferenza e salvaguardare la dignità del malato. Fondamentale è una relazione con il paziente e i suoi familiari basata su un processo informativo veritiero, per poter condividere vie di uscita dignitose e rispettose della persona, perché una terapia intensiva che non riesce a riportare alla vita possa almeno consentire di "ben morire".

La situazione AIDS


Per quanto riguarda l'AIDS, come sottolineato al congresso dall'infettivologo, del Sacco di Milano, Agostino Zambelli, la situazione è profondamente modificata per l'introduzione sistematica, da sei anni a questa parte, delle terapie antiretrovirali. I numeri sono inequivocabili. Da 4583 morti nel 1995 a 578 nel 2001 e anche il tipo di paziente terminale è cambiato profondamente. Se, infatti, sono in forte calo le infezioni opportunistiche come causa di morte del malato HIV positivo, sono in crescita le morti correlate a patologie neoplastiche, cardiovascolari e soprattutto a patologie epatiche. Il malato terminale di AIDS richiede una gestione assistenziale complessa, presentando patologie multiorgano e spesso malattie trasmissibili per via aerea, che determinano l'ospedalizzazione fino all'exitus. Le strutture dedicate all'assistenza dei pazienti con AIDS, comunque, attualmente sono in grado di garantire l'accoglienza dei malati terminali in tempi brevi. Più complessa la situazione presso le strutture per malati terminali non AIDS e l'assistenza domiciliare.

Tra clinica ed etica

Un caso a parte è rappresentato dalle malattie neurologiche ad andamento degenerativo. Il rischio, infatti, è che trattandosi di malattie per le quali non esistono cure i malati, e con essi i parenti che li assistono, siano abbandonati in un limbo in cui problemi e bisogni quotidiani vengano negati. Virginio Bonito, neurologo degli Ospedali Riuniti di Bergamo, si occupa di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), malattia che in Italia ogni giorno provoca la morte di tre persone. Il decesso è causato dalla paralisi dei muscoli respiratori che si manifesta, in media, tre anni circa dopo la diagnosi ed è preceduta da un'insufficienza respiratoria che si fa più grave nel corso dei mesi. La morte annunciata può essere evitata con facilità con una ventilazione invasiva attraverso tracheotomia. Spesso l'annunciata paralisi respiratoria giunge inattesa e il medico rianimatore deve decidere nell'emergenza, senza conoscere la volontà del malato. Succede così, che alcuni pazienti vengono rianimati pur avendo rifiutato la ventilazione invasiva, mentre altri che lo avrebbero voluto non riescono a sopravvivere alla paralisi respiratoria. Presso gli Ospedali Riuniti di Bergamo è attiva, proprio per ovviare a queste situazioni, la procedura delle direttive anticipate in base alla quale la persona esprime il rifiuto o il consenso alle cure. Un obiettivo impegnativo che sta dando, però, i primi risultati.

Il bambino inguaribile

Un tema particolarmente delicato è, infine, la sofferenza nel bambino inguaribile. Al congresso SICP se ne è occupato Momcilo Jankovic, pediatra presso l'Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza, con testimonianze scritte particolarmente toccanti di bambini in fase terminale. Il trattamento dei bambini può essere diviso in due fasi: la prima è rappresentata dalla difficile decisione di muoversi da un intento curativo a una fase palliativa di contenimento della malattia, il secondo è il periodo che va dall'inizio delle cure palliative alla morte del bambino. Il programma di assistenza al bambino terminale in atto presso il centro brianzolo è stato elaborato sulla base dell'incontro con le famiglie dei bambini deceduti. Di tutte le famiglie interpellate il 98% ha ritenuto l'incontro molto utile e ha apprezzato l'opportunità. Il percorso assistenziale così stabilito prevede: il coordinamento diretto di un medico responsabile, il coinvolgimento di un altro medico o infermiera, coinvolgimento del medico o pediatra di famiglia, visite periodiche in day hospital, brevi ma frequenti contatti telefonici, terapia antidolorifica per via orale a dosi adeguate. La chiave comunque sta nel non abbandonare il bambino (abbandono terapeutico) e nel non sottoporlo a procedure non più utili (accanimento terapeutico): quello che conta, ha sottolineato Jankovic in conclusione, sono terapie palliative capaci di accompagnarlo fino alla morte, appena possibile a casa.

Marco Malagutti



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