06 febbraio 2009
Aggiornamenti e focus
Psoriasi autogestita
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Fare i conti con una malattia cronica che per sua natura condiziona la normale funzionalità significa rinunciare a un abbondante porzione della qualità della vita per tutta la sua durata. La psoriasi a placche rientra in questa categoria con l'aggravante di avere manifestazioni particolarmente deturpanti, che incidono molto negativamente sulle relazioni sociali e sulla autopercezione del paziente, soprattutto nelle forme gravi. A questo si aggiunge una terapia che in un gradiente di gravità della malattia diventa via via più impegnativa dal punto di vista degli effetti collaterali e dell'impatto sull'organismo del soggetto trattato: ben diversa è l'applicazione di una crema, adatta per le forme più leggere, dall'assunzione di farmaci sistemici che intervengono sui fenomeni infiammatori, necessarie nelle forme più gravi.
E anche a chiederlo direttamente ai pazienti, si conferma uno scenario di difficoltà intuibile dal quadro clinico che contempla, tra le altre cose, rigidità e funzionalità limitata dovuta alla formazione di placche psoriasiche in corrispondenza delle articolazioni e dolore. Il quadro di difficoltà percepito dai pazienti è stato, infatti, rilevato da un'indagine europea condotta da un'agenzia indipendente, Double Helix Development, che ha delineato in primo luogo il profilo dei soggetti psoriasici con forme moderate e gravi. Su un totale di circa 800 interviste raccolte in diversi paesi europei, 100 sono state compilate in Italia, dove in media i pazienti, uomini e donne sui 40 anni, convivono con la malattia da circa 14 anni e riportano che il primo esordio risale a circa 20 anni prima. Nel campione selezionato c'era una notevole consapevolezza della propria condizione: il 71% sapeva di avere una forma moderata e uno su tre (29%) diceva di essere un caso grave e, anche quando si chiedeva al paziente di dare una valutazione di quanta parte della superficie corporea era interessata dalla formazione di placche, le percentuali rimanevano tali. Inoltre, la metà del campione riportava di aver ricevuto anche una diagnosi di depressione e ansia, un dato che spiega anche perchè in altre ricerche è stata riscontrata una percentuale del 10% di ideazioni di suicido, e un 5% di tentativi.
Gli intervistatori hanno anche indagato sulla conoscenza da parte del paziente delle terapie, ma anche sulle aspettative, gli atteggiamenti, le preoccupazioni rispetto alla gestione della malattia con il trattamento. Il canale di informazioni preferenziale resta il dermatologo nell'85% dei casi, un dato che valorizza la relazione con lo specialista, e, a seguire, il medico di famiglia (54%) e il farmacista (37%). I pazienti conoscono la terapia che stanno seguendo: il 68% segue una terapia topica, il 54% fototerapia il 55% assume un farmaco sistemico. Agli intervistati è stata proposta anche l'ipotesi di una terapia a intermittenza, oggi possibile grazie alla disponibilità di farmaci biologici che possono essere sospesi alla remissione della terapia e garantire per tre mesi l'assenza di ricaduta e nel momento in cui si riprende la somministrazione riportare rapidamente a regime l'efficacia. Il 66% dei pazienti trattati con farmaci sistemici e il 68% di quelli in terapia con farmaci biologici hanno espresso preferenza per questo tipo di regime di somministrazione. A giustificare la preferenza, l'ipotesi di una terapia da poter usare in funzione della gravità contingente della psoriasi, un maggior profilo di sicurezza del trattamento, anche grazie a una maggior attenzione da parte del paziente stesso. Per altro la possibilità di interrompere rappresenta principalmente un modo per migliorare la qualità della vita: avere un periodo in cui non bisogna assumere farmaci, ha detto la maggior parte degli intervistati, permette di gestire con più libertà la propria vita, i rapporti personali la pianificazione dei propri impegni. Ovviamente, sottolineano gli esperti, la valutazione di quando interrompere e quando riprendere la terapia è appannaggio del medico, in particolare nei casi più gravi, in cui non è pensabile che il paziente possa autogestire la malattia e prendersi una vacanza dalla terapia.
Simona Zazzetta
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Pazienti informati e consapevoli
E anche a chiederlo direttamente ai pazienti, si conferma uno scenario di difficoltà intuibile dal quadro clinico che contempla, tra le altre cose, rigidità e funzionalità limitata dovuta alla formazione di placche psoriasiche in corrispondenza delle articolazioni e dolore. Il quadro di difficoltà percepito dai pazienti è stato, infatti, rilevato da un'indagine europea condotta da un'agenzia indipendente, Double Helix Development, che ha delineato in primo luogo il profilo dei soggetti psoriasici con forme moderate e gravi. Su un totale di circa 800 interviste raccolte in diversi paesi europei, 100 sono state compilate in Italia, dove in media i pazienti, uomini e donne sui 40 anni, convivono con la malattia da circa 14 anni e riportano che il primo esordio risale a circa 20 anni prima. Nel campione selezionato c'era una notevole consapevolezza della propria condizione: il 71% sapeva di avere una forma moderata e uno su tre (29%) diceva di essere un caso grave e, anche quando si chiedeva al paziente di dare una valutazione di quanta parte della superficie corporea era interessata dalla formazione di placche, le percentuali rimanevano tali. Inoltre, la metà del campione riportava di aver ricevuto anche una diagnosi di depressione e ansia, un dato che spiega anche perchè in altre ricerche è stata riscontrata una percentuale del 10% di ideazioni di suicido, e un 5% di tentativi.
Interrompere la terapia
Gli intervistatori hanno anche indagato sulla conoscenza da parte del paziente delle terapie, ma anche sulle aspettative, gli atteggiamenti, le preoccupazioni rispetto alla gestione della malattia con il trattamento. Il canale di informazioni preferenziale resta il dermatologo nell'85% dei casi, un dato che valorizza la relazione con lo specialista, e, a seguire, il medico di famiglia (54%) e il farmacista (37%). I pazienti conoscono la terapia che stanno seguendo: il 68% segue una terapia topica, il 54% fototerapia il 55% assume un farmaco sistemico. Agli intervistati è stata proposta anche l'ipotesi di una terapia a intermittenza, oggi possibile grazie alla disponibilità di farmaci biologici che possono essere sospesi alla remissione della terapia e garantire per tre mesi l'assenza di ricaduta e nel momento in cui si riprende la somministrazione riportare rapidamente a regime l'efficacia. Il 66% dei pazienti trattati con farmaci sistemici e il 68% di quelli in terapia con farmaci biologici hanno espresso preferenza per questo tipo di regime di somministrazione. A giustificare la preferenza, l'ipotesi di una terapia da poter usare in funzione della gravità contingente della psoriasi, un maggior profilo di sicurezza del trattamento, anche grazie a una maggior attenzione da parte del paziente stesso. Per altro la possibilità di interrompere rappresenta principalmente un modo per migliorare la qualità della vita: avere un periodo in cui non bisogna assumere farmaci, ha detto la maggior parte degli intervistati, permette di gestire con più libertà la propria vita, i rapporti personali la pianificazione dei propri impegni. Ovviamente, sottolineano gli esperti, la valutazione di quando interrompere e quando riprendere la terapia è appannaggio del medico, in particolare nei casi più gravi, in cui non è pensabile che il paziente possa autogestire la malattia e prendersi una vacanza dalla terapia.
Simona Zazzetta
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