Il prediabete si tratta senza troppi farmaci

13 ottobre 2006
Aggiornamenti e focus

Il prediabete si tratta senza troppi farmaci



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Il diabete tipo 2 è una delle non molte condizioni cui è possibile individuare una fase in cui la persona presenta disturbi metabolici ma non la malattia vera e propria. Si parla in questi casi di intolleranza al glucosio: la glicemia è mediamente più elevata della norma, ma non in modo drammatico. Aspetto più importante, in questa fase tutto può ancora cambiare e, quindi, si può evitare di sfociare nel diabete tipo 2.

Farmaco e stile di vita


Come invertire la rotta? Le possibilità, ricorda un editoriale pubblicato da Lancet, sono due: agire sullo stile di vita in modo intenso o ricorrere alla prevenzione farmacologica. Prevenire il diabete è importante sempre, ma in particolare in persone che presentano fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, per esempio) o disturbi cardiovascolari veri e propri, e questo spiega perché i primi studi di prevenzione farmacologica del diabete Tipo 2 siano stati condotti in questa popolazione. Più recentemente ci si è rivolti anche alle persone che avevano come unica caratteristica l'intolleranza al glucosio. Protagonisti di questi studi una famiglia di farmaci ipoglicemizzanti i tiazolidindioni, ovvero pioglitazone, rosiglitazone e troglitazone (oggi ritirato). In particolare Lancet ospitava nello stesso numero uno studio dedicato alla prevenzione del diabete tipo 2 attraverso un associazione di ramipril, un antipertensivo della classe degli ACE inibitori, e il rosiglitazone. Lo studio ha indagato non soltanto l'intolleranza glucidica (che si valuta misurando la glicemia a due ore dal pasto) ma anche la glicemia a digiuno. Effettivamente il trattamento riduce anche nei non diabetici i valori glicemici, quindi funziona. E' meno chiaro, però, se il gioco valga la candela in termini di prevenzione nel suo complesso, quindi considerando anche le complicanze cardiovascolari del diabete.

Il gioco non vale la candela


In pratica, basandosi sulla riduzione di 0,5 mmol/dl della glicemia a digiuno ottenuta con il farmaco, secondo il commento, per prevenire un singolo caso di malattia cardiovascolare bisognerebbe trattare per tre anni 554 persone. Il rapporto è molto alto, se si pensa, per esempio, che per risparmiare un caso di malattia cardiovascolare con una statina, in persone che hanno un'ipercolesterolemia moderata, ne bastano 100 l'anno. Non è solo questione di costo del trattamento, comunque abbastanza dispendioso, ma anche di potenziali effetti collaterali. Per esempio, per il troglitazone, a suo tempo, si era manifestato un aumento del rischio di insufficienza cardiaca, che comunque in qualche misura sembra comune a tutta la classe dei farmaci. Poi c'è la questione dell'aumento del peso, che è assai più frequente, indotto dall'uso di queste molecole. E' arduo promuovere cambiamenti di stile di vita, che nelle persone in fase prediabetica, spesso obese o sovrappeso, non possono che comprendere anche la riduzione delle calorie, e poi usare farmaci che tendono a far ingrassare. Aumentare di peso, poi, conduce inevitabilmente a ridurre l'attività fisica e questo è un ulteriore inconveniente ai fini preventivi. Terzo punto sollevato dall'autore è la persistenza dei benefici ottenuti con i farmaci. Al riguardo cita i risultati di uno studio condotto col troglitazone, che indicavano un ritorno alla situazione precedente una volta sospeso il trattamento, cosa che invece non accade con le misure non farmacologiche: una volta acquisito lo stile di vita giusto (dieta, attività fisica, niente fumo...) i benefici restano.
Quindi, è la conclusione dell'articolo, i farmaci vanno benissimo quando la malattia, purtroppo, c'è, ma in fase preventiva sembra comunque più conveniente affidarsi ad altri sistemi.

Maurizio Imperiali



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