Amputazione evitabile?

17 novembre 2006
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Amputazione evitabile?



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Un'eventualità frequente nei pazienti diabetici è l'insorgenza di lesioni ulcerative ai piedi, alla cui origine contribuiscono due diverse componenti: una ridotta percezione sensoriale e una diminuzione della circolazione periferica a livello degli arti inferiori. Ulcere che possono degenerare e diventare un problema decisamente grave, soprattutto perché possono andare incontro a infezioni, che se non curate con tempestività, si diffondono ai tessuti più profondi fino a raggiungere tendini, articolazioni e ossa. E si può arrivare a danni talmente seri da condurre alla cancrena, ossia alla morte dei tessuti. Secondo i dati più recenti sono tre milioni e mezzo gli italiani che soffrono di diabete e di questi cinquecentomila hanno ulcere diabetiche. In molti casi, per di più, la necrosi del piede o di una sua porzione rende l'amputazione la sola opzione possibile. Ma sarebbero problemi evitabili se la malattia fosse adeguatamente controllata e se il diabetico venisse sensibilizzato e informato correttamente. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità addirittura fino al'80% delle amputazioni del piede causate dal diabete potrebbe essere evitata. Anche perché il piede diabetico oltre a incidere sulla qualità di vita dei malati incide anche sulla spesa sanitaria. E, dice l'OMS, toglie risorse globali destinate alla malattia. Il 15-25% almeno nei paesi ricchi. Della questione si è occupato un articolo del New York Times.

Curare più e meglio


I numeri americani non sono da meno. Circa 1,8 milioni di statunitensi hanno avuto amputazioni, di queste oltre 100000 non legate a incidenti (come il piede diabetico appunto). Numeri consistenti che hanno condotto la comunità medica a considerare se si possano prevenire questi interventi radicali e se sì in che modo. Karel Bakker uno specialista del piede dell'International Diabetes Association ritiene che una cura più efficace e una maggiore educazione del paziente potrebbe rendere questa procedura inutile nell'85% dei casi. Il primo segnale sono le ulcere che, secondo un recente articolo di Diabetes Care, preannunciano l'amputazione in 9 casi su 10. E' evidente quindi che se si vuole ridurre il numero delle amputazioni è necessario migliorare la capacità di curare efficacemente e precocemente l'ulcera. Il problema è che la perdita della sensibilità e la conseguente non percezione del dolore, due componenti fondamentali della complicanza, rendono il piede diabetico vulnerabile a traumi di natura meccanica, termica o chimica e fanno sì che il paziente non rendendosi conto in tempi brevi dell'eventuale presenza di lesioni non prenda gli opportuni provvedimenti. Se però il paziente è "educato" adeguatamente e sottoposto a frequente follow-up e osservazione, molti pazienti ad alto rischio di amputazione possono essere guariti prima di raggiungere un punto di non ritorno. Spesso, sottolineano gli esperti statunitensi non c'è invece un adeguato follow-up ne un recall, cioè un richiamo dopo un primo esame. Se invece si ha un'ulcera si dovrebbe essere visti almeno ogni tre mesi. Al momento soltanto il 14% dei medici generici effettuano l'esame del piede durante le visite annuali ai pazienti. L'amputazione, e ancora di più in caso di diabete, è una tragedia umana e anche un fallimento della sanità pubblica, dicono all'Oms. Ma aumentare la consapevolezza di pazienti e medici non basta.

Il problema economico


Secondo l'analisi economica del problema un chirurgo vascolare in più ogni 33000 assistiti da Medicare diminuirebbe dell'1,6% le amputazioni. E questo aspetto apre un problema ancora più ampio, quello dell'inequità sociale. Inevitabilmente i distretti più poveri sono quelli che non hanno le risorse necessarie. E così negli Stati Uniti sono gli Ispanici e gli afro-americani ad avere il maggior rischio di amputazione. Ma anche questo non basta. Il chirurgo vascolare, infatti, vede il paziente quando la situazione è già seriamente compromessa. E anche in zone più ricche i chirurghi amputano anche quando a volte non sarebbe strettamente necessario. La soluzione più radicale, infatti, è anche quella auspicata dai pazienti e dagli stessi medici rispetto a procedure di recupero complicate e spesso vane. E non è sempre sbagliato, conclude l'articolo del New York Times, visto che le protesi sono sempre più all'avanguardia e si può ritornare a una vita normale. O quasi.

Marco Malagutti



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