Quel che conta è la costanza

18 luglio 2003
Aggiornamenti e focus

Quel che conta è la costanza



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Brutte notizie: dal diabete conclamato non si può guarire. Buone notizie: se applicate con costanza le terapie disponibili consentono di condurre una vita normale. Del resto vale lo stesso ragionamento per altre malattie croniche. Si tratti di diabete tipo 1 o 2, lo scopo della terapia è uno: mantenere normale la glicemia. Di conseguenza, curare il diabete significa sì assumere la terapia prescritta, ma anche controllare regolarmente il suo effetto.
In linea generale, gli obiettivi minimi della terapia sono mantenere la glicemia a digiuno al di sotto di 120 mg/dl e una quota di emoglobina glicosilata (HbA1c) inferiore al 7%. Si tratta comunque di indicazioni di massima, in quanto di norma è il diabetologo a stabilire in base alle caratteristiche del paziente gli obiettivi concreti.

Obiettivi uguali, farmaci diversi


Nel diabete tipo 1 esiste una sola terapia: l'insulina. Infatti, si deve ovviare alla mancata produzione dell'ormone da parte del pancreas. Nel diabete tipo 2, soprattutto nelle fasi iniziali, la produzione di insulina sussiste e quindi si tratta o di stimolarla o di migliorarne l'impiego da parte dei tessuti. A questo provvedono i diversi tipi di ipoglicemizzanti orali. Stimolanti della produzione di insulina sono le Sulfaniluree o sulfonamidi (per esempioclorpropamide, glibenclamide, gliclazide, glipzide); ad aumentare la sensibilità dei tessuti all'insulina provvedono invece le biguanidi (per esempio fenformina, metformina) e la più recente classe dei tiazolindioni, pioglitazone e rosiglitazone, il cui impiego in Italia è però riservato all'ospedale. In aggiunta a queste categorie di farmaci c'è l'acarbosio, una sostanza che inibisce l'alfa glucosidasi. Questo enzima ha il compito di rompere gli zuccheri complessi (come l'amido o il saccarosio) in glucosio. Di conseguenza, limitandone l'azione si evitano i picchi glicemici successivi ai pasti. Sulfaniluree e biguanidi possono essere usate in associazione. Nel caso che gli ipoglicemizzanti non ottengano i risultati sperati, il che significa il più delle volte che la produzione da parte del pancreas sta venendo meno, è necessario ricorrere all'insulina anche nel Tipo 2.

L'insulina


Inizialmente l'insulina impiegata era di origine animale (suina o bovina), il che a lungo andare conduce alla produzione di anticorpi che vanno a distruggere l'ormone "alieno". Di conseguenza, la possibilità di sintetizzare insulina umana con le tecnologie del DNA ricombinante è stata un fenomenale passo a vanti nella terapia del diabete, tanto che oggi insulina animale non se ne impiega più. Al di là dell'origine, però, le diverse formulazioni dell'insulina oggi impiegate si caratterizzano per la rapidità e la durata dell'effetto. Di conseguenza l'insulina può essere:
  • Pronta (cioè ad azione rapida)
  • Ad azione intermedia
  • Ad azione intermedia con rapida comparsa dell'effetto
  • Ad azione lenta.
Allo scopo di ottenere insuline molto rapide, sono stati sintetizzati, sempre con la tecnica del DNA ricombinante, degli analoghi sintetici, cioè molecole uguali a quella fisiologica ma modificate in modo da rendere più celere la comparsa dell'effetto. Si tratta delle insuline lispro e aspart. Lo stesso discorso vale per l'insulina glargine, nella quale però le modifiche apportate servono piuttosto a prolungarne l'azione. L'insulina glargine per ora non è disponibile in Italia.
Queste differenti preparazioni sono necessarie per meglio adattare la terapia alle caratteristiche del paziente: in alcuni pazienti può, infatti, bastare una sola iniezione mattutina d'insulina ad azione intermedia, mentre in altri può essere necessario frazionare la dose e introdurre insulina ad azione rapida.
La terapia con insulina richiede una grande attenzione da parte del paziente e del medico, ma se è stata adeguatamente personalizzata e il malato si attiene alle indicazioni, può condurre una vita assolutamente normale sotto tutti gli aspetti.
Gli effetti collaterali più frequenti sono l'ipoglicemia, la modificazione del tessuto adiposo nel punto dell'iniezione (lipoatrofia e lipoipertrofia); la formazione di edema dovuto a ritenzione di sodio, manifestazioni allergiche limitate al punto dell'iniezione o generalizzate (comunque si autolimitano e tendono a scomparire col tempo).

Maurizio Lucchinelli



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