01 febbraio 2008
Aggiornamenti e focus
Poco non basta
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Non è una novità che il mezzo più semplice per contrastare il motore principale del diabete tipo 2, l'obesità, è adottare abitudini più salutari. Abitudini che, alla fine, sono due: una dieta meno ricca di calorie e una maggiore attività fisica. Studi sull'argomento, anche studi di intervento, ne sono stati fatti ormai molti, tanto che l'aspetto più interessante di quello pubblicato dagli Archives of Internal Medicine è l'editoriale di commento, che mette in luce alcuni punti critici dell'approccio non farmacologico al diabete e del modo in cui viene valutato.
Partendo dallo studio, sono stati coinvolti 310 pazienti con indice di massa corporea pari o superiore a 25 e diagnosi di diabete tipo 2 (età assai variabile: da 18 a 75 anni), cioè dalla soglia del sovrappeso in su. Per una metà di questi, con l'ausilio di un apposito software sono stati calcolati degli obiettivi che i pazienti avrebbero dovuto raggiungere in fatto di dieta e attività fisica. Il raggiungimento e l'entità di questi obiettivi venivano poi valutati a ogni visita medica prevista nel protocollo. Al gruppo di controllo, invece, è stato distribuito il materiale a stampa, in stile campagna pubblicità-progresso, e null'altro. Lo studio è durato 12 mesi, con visite a 3, 6 e 9 mesi e al termine del periodo. L'efficacia dei programmi personalizzati era valutata in termini di riduzione del peso e, secondariamente, di aumento dell'attività fisica. Sempre come obiettivi secondari vi erano il livello dell'emoglobina glicata (che esprime il controllo nel tempo della glicemia) e dei lipidi ematici (in soldoni, colesterolo e trigliceridi). Questi ultimi, però, erano gli unici due dati obiettivi, le altre valutazioni si basavano su quanto riferiva il paziente stesso. Secondo l'analisi statistica non c'erano differenze nella perdita media di peso tra gruppo di intervento e gruppo di controllo, tuttavia il 21% del gruppo di intervento aveva totalizzato una perdita di almeno il 5% del peso di partenza, contro il 10,6% del gruppo di controllo. Inoltre, il 28% di coloro che avevano seguito il programma personalizzato era stabilmente dimagrito di almeno 2,7 chilogrammi nel controllo a 6 mesi, percentuale che saliva al 32% a 12 mesi. Nel gruppo di controllo le percentuali erano più modeste: 24% e 19%. Quanto ai valori di laboratorio non si sono registrate differenze significative tra i due gruppi, quantomeno non attribuibili all'intervento sullo stile di vita in quanto entrava nel conto anche l'effetto dei farmaci assunti dai pazienti.
L'editoriale di commento alla ricerca sottolinea un aspetto, e cioè la modesta entità dei risultati ottenuti: un etto di dimagrimento medio è poco, soprattutto se bisogna prendere per veri i dati relativi alla riduzione delle calorie riportata dai pazienti, cioè quasi mille calorie al giorno. Anche se non avessero aumentato l'attività fisica rispetto all'inizio, le modificazioni della dieta avrebbero dovuto garantire la perdita di almeno 5-6 chili, mentre i risultati dei questionari indicavano pure un aumento dell'attività. La prima conclusione del commento è che probabilmente questo genere di valutazione attraverso questionari produce dati inaffidabili. Oltre all'entità assoluta dei cambiamenti va considerata anche la piccola differenza rispetto al gruppo di controllo. E' anche possibile che questa sia dovuta al fatto che tutti i medici partecipanti erano formati a questa attività di consiglio e indirizzo, quindi anche l'intervento minimo possibile era comunque già qualcosa di più di quanto viene fatto nella visita medica standard, ma non è così probabile. Inoltre, nella ricerca non si dice quanto tempo veniva dedicato al paziente sia all'inizio dell'intervento sia nelle visite successive. L'impressione degli autori del commento è che in realtà l'approccio non farmacologico funzioni senz'altro, ma che con interventi di piccola entità, con visite brevi e poco follow-up si ottengano risultati modesti. Insomma: se si vuole ottenere di più si deve lavorare di più.
Gianluca Casponi
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Un programma personalizzato
Partendo dallo studio, sono stati coinvolti 310 pazienti con indice di massa corporea pari o superiore a 25 e diagnosi di diabete tipo 2 (età assai variabile: da 18 a 75 anni), cioè dalla soglia del sovrappeso in su. Per una metà di questi, con l'ausilio di un apposito software sono stati calcolati degli obiettivi che i pazienti avrebbero dovuto raggiungere in fatto di dieta e attività fisica. Il raggiungimento e l'entità di questi obiettivi venivano poi valutati a ogni visita medica prevista nel protocollo. Al gruppo di controllo, invece, è stato distribuito il materiale a stampa, in stile campagna pubblicità-progresso, e null'altro. Lo studio è durato 12 mesi, con visite a 3, 6 e 9 mesi e al termine del periodo. L'efficacia dei programmi personalizzati era valutata in termini di riduzione del peso e, secondariamente, di aumento dell'attività fisica. Sempre come obiettivi secondari vi erano il livello dell'emoglobina glicata (che esprime il controllo nel tempo della glicemia) e dei lipidi ematici (in soldoni, colesterolo e trigliceridi). Questi ultimi, però, erano gli unici due dati obiettivi, le altre valutazioni si basavano su quanto riferiva il paziente stesso. Secondo l'analisi statistica non c'erano differenze nella perdita media di peso tra gruppo di intervento e gruppo di controllo, tuttavia il 21% del gruppo di intervento aveva totalizzato una perdita di almeno il 5% del peso di partenza, contro il 10,6% del gruppo di controllo. Inoltre, il 28% di coloro che avevano seguito il programma personalizzato era stabilmente dimagrito di almeno 2,7 chilogrammi nel controllo a 6 mesi, percentuale che saliva al 32% a 12 mesi. Nel gruppo di controllo le percentuali erano più modeste: 24% e 19%. Quanto ai valori di laboratorio non si sono registrate differenze significative tra i due gruppi, quantomeno non attribuibili all'intervento sullo stile di vita in quanto entrava nel conto anche l'effetto dei farmaci assunti dai pazienti.
Resoconti ottimistici
L'editoriale di commento alla ricerca sottolinea un aspetto, e cioè la modesta entità dei risultati ottenuti: un etto di dimagrimento medio è poco, soprattutto se bisogna prendere per veri i dati relativi alla riduzione delle calorie riportata dai pazienti, cioè quasi mille calorie al giorno. Anche se non avessero aumentato l'attività fisica rispetto all'inizio, le modificazioni della dieta avrebbero dovuto garantire la perdita di almeno 5-6 chili, mentre i risultati dei questionari indicavano pure un aumento dell'attività. La prima conclusione del commento è che probabilmente questo genere di valutazione attraverso questionari produce dati inaffidabili. Oltre all'entità assoluta dei cambiamenti va considerata anche la piccola differenza rispetto al gruppo di controllo. E' anche possibile che questa sia dovuta al fatto che tutti i medici partecipanti erano formati a questa attività di consiglio e indirizzo, quindi anche l'intervento minimo possibile era comunque già qualcosa di più di quanto viene fatto nella visita medica standard, ma non è così probabile. Inoltre, nella ricerca non si dice quanto tempo veniva dedicato al paziente sia all'inizio dell'intervento sia nelle visite successive. L'impressione degli autori del commento è che in realtà l'approccio non farmacologico funzioni senz'altro, ma che con interventi di piccola entità, con visite brevi e poco follow-up si ottengano risultati modesti. Insomma: se si vuole ottenere di più si deve lavorare di più.
Gianluca Casponi
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