16 aprile 2008
Aggiornamenti e focus
Gli omega-3 non servono al Crohn
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Tra i tanti benefici attribuiti agli omega-3, gli acidi grassi contenuti in pesci come il salmone e le sardine, c'è il loro effetto antinfiammatorio. Per questo una dieta ricca di questi principi è consigliata in genere a chi soffre del morbo di Crohn, la malattia infiammatoria intestinale cronica, accompagnata generalmente da dolori addominali, diarrea e perdita di sangue con le feci. Come sostiene un ricercatore statunitense Brian Feagan "Una significativa quantità di tempo e denaro è spesa ogni anno per terapie alternative a quelle classiche come quella a base di acidi grassi omega-3 senza che ci sia una forte evidenza che porti benefici ai soggetti con malattia infiammatoria intestinale". Lo studio condotto dallo stesso Feagan ridimensiona questa ipotesi, avvallata tra l'altro per la prima volta da un piccolo studio italiano, pubblicato sul New England Journal of Medicine. Lo studio suggeriva un ruolo degli omega-3 in particolare nelle ricadute da Crohn. Ora stando alla nuova ricerca pubblicata su Jama, sembra il momento di fare marcia indietro.
Una terapia efficace per mantenere l'infiammazione in remissione ed evitare le ricadute, spiegano i ricercatori, di fatto non è ancora stata trovata. Molti i tentativi, dal più usato l'acido 5-aminosalicilico sul quale mancano ancora forti evidenze, ad agenti immunosoppressivi come gli antimetaboliti della purina, il metotrexato e gli antagonisti del TNF alfa, moderatamente efficaci nel mantenere la remissione, il cui uso però è associato a un aumentato rischio di infezione. L'individuazione di un trattamento sicuro, poco costoso ed efficace somministrato per via orale è perciò una priorità della ricerca. Gli acidi grassi omega-3 sembravano una possibile soluzione, in virtù della loro azione antinfiammatoria e del loro ruolo nella gestione di malattie come l'artrite reumatoide. In più si tratta di composti con un ruolo riconosciuto nel ridurre la trigliceridemia in pazienti dislipidemici e il rischio di morte per arresto cardiaco. Eppure i trial ad oggi condotti sulla materia hanno dato risultati inconsistenti, sostengono i ricercatori canadesi guidati da Feagan. Uno studio italiano aveva dimostrato una riduzione assoluta del 33% del rischio di remissione a un anno dopo trattamento con 2,7 grammi giornalieri di acidi grassi omega-3. Un secondo studio a dosaggi superiori, però, non aveva confermato l'ipotesi. Il nuovo studio ha cercato così di dare una risposta ai dubbi attraverso due trial su larga scala che hanno valutato l'effetto degli omega-3 ad alto dosaggio in pazienti con il morbo di Crohn quiescente.
I due studi, EPIC 1 ed EPIC 2, condotti tra gennaio 2003 e febbraio 2007 in 98 centri sparsi tra Canada, Europa, Israele e Stati Uniti, hanno dato risultati analoghi. Nessun effetto benefico degli omega-3 ad alte dosi per la prevenzione delle ricadute nell'anno di follow up. La percentuale di ricadute in EPIC 1 era del 31,6% in pazienti che hanno ricevuto gli acidi grassi, contro il 35,7% in quelli trattati a placebo. Percentuali analoghe per EPIC 2, senza che siano stati evidenziati effetti avversi se non riconducibili al Crohn. In chiaro contrasto con lo studio italiano, ma su un campione superiore di pazienti, come rivendicano gli autori. Le ragioni delle differenze? Gli autori fanno tre ipotesi. La prima è che lo studio italiano abbia valutato soggetti a più alto rischio di ricadute, ipotesi che tiene solo rispetto a EPIC 1, però. La seconda spiegazione sta nelle differenti formulazioni utilizzate: una capsula di gelatina dura nello studio italiano contro una capsula molle negli EPIC, con le differenze farmacocinetiche che ne conseguono. Ma l'ipotesi più credibile, secondo gli autori, resta il ristretto campione dello studio tricolore, più facilmente soggetto a bias e meno rigoroso metodologicamente. Nonostante la pressoché totale assenza di effetti collaterali, concludono gli autori,meglio prendere farmaci di provata efficacia.
Marco Malagutti
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Studio italiano in discussione
Una terapia efficace per mantenere l'infiammazione in remissione ed evitare le ricadute, spiegano i ricercatori, di fatto non è ancora stata trovata. Molti i tentativi, dal più usato l'acido 5-aminosalicilico sul quale mancano ancora forti evidenze, ad agenti immunosoppressivi come gli antimetaboliti della purina, il metotrexato e gli antagonisti del TNF alfa, moderatamente efficaci nel mantenere la remissione, il cui uso però è associato a un aumentato rischio di infezione. L'individuazione di un trattamento sicuro, poco costoso ed efficace somministrato per via orale è perciò una priorità della ricerca. Gli acidi grassi omega-3 sembravano una possibile soluzione, in virtù della loro azione antinfiammatoria e del loro ruolo nella gestione di malattie come l'artrite reumatoide. In più si tratta di composti con un ruolo riconosciuto nel ridurre la trigliceridemia in pazienti dislipidemici e il rischio di morte per arresto cardiaco. Eppure i trial ad oggi condotti sulla materia hanno dato risultati inconsistenti, sostengono i ricercatori canadesi guidati da Feagan. Uno studio italiano aveva dimostrato una riduzione assoluta del 33% del rischio di remissione a un anno dopo trattamento con 2,7 grammi giornalieri di acidi grassi omega-3. Un secondo studio a dosaggi superiori, però, non aveva confermato l'ipotesi. Il nuovo studio ha cercato così di dare una risposta ai dubbi attraverso due trial su larga scala che hanno valutato l'effetto degli omega-3 ad alto dosaggio in pazienti con il morbo di Crohn quiescente.
La dieta non basta
I due studi, EPIC 1 ed EPIC 2, condotti tra gennaio 2003 e febbraio 2007 in 98 centri sparsi tra Canada, Europa, Israele e Stati Uniti, hanno dato risultati analoghi. Nessun effetto benefico degli omega-3 ad alte dosi per la prevenzione delle ricadute nell'anno di follow up. La percentuale di ricadute in EPIC 1 era del 31,6% in pazienti che hanno ricevuto gli acidi grassi, contro il 35,7% in quelli trattati a placebo. Percentuali analoghe per EPIC 2, senza che siano stati evidenziati effetti avversi se non riconducibili al Crohn. In chiaro contrasto con lo studio italiano, ma su un campione superiore di pazienti, come rivendicano gli autori. Le ragioni delle differenze? Gli autori fanno tre ipotesi. La prima è che lo studio italiano abbia valutato soggetti a più alto rischio di ricadute, ipotesi che tiene solo rispetto a EPIC 1, però. La seconda spiegazione sta nelle differenti formulazioni utilizzate: una capsula di gelatina dura nello studio italiano contro una capsula molle negli EPIC, con le differenze farmacocinetiche che ne conseguono. Ma l'ipotesi più credibile, secondo gli autori, resta il ristretto campione dello studio tricolore, più facilmente soggetto a bias e meno rigoroso metodologicamente. Nonostante la pressoché totale assenza di effetti collaterali, concludono gli autori,meglio prendere farmaci di provata efficacia.
Marco Malagutti
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