19 dicembre 2008
Aggiornamenti e focus
Verso l'approvazione della Ru486?
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Per sgombrare subito il campo dagli equivoci una cosa va detta chiaramente: la Ru486 è un farmaco che provoca l'aborto. Non è un anticoncezionale. E non è neanche una molecola nuova. Basti pensare che la sua invenzione risale al 1982 e si deve all'endocrinologo francese Emile-Etienne Beaulieu. Una nuova molecola, la pillola abortiva appunto, acquistata immediatamente dalla casa farmaceutica Roussel-Uclaf, sussidiaria francese del gigante farmaceutico tedesco Hoechst, e quindi rietichettata come Roussel-Uclaf 38486 (da cui l'abbreviazione RU-486). A partire dalla sua produzione nel 1988, l'abortivo chimico è stato approvato un anno dopo in Francia e poi in Cina; quindi nei primi anni '90 in Svezia e in Gran Bretagna, nel 1999 in Svizzera, India e Israele; solo nel 2000 in Usa. Si ritiene che sia stato finora utilizzato in Europa da 600 mila donne e da oltre tre milioni in Cina, con una efficacia abortiva media del 95,5%. E in Italia? Le cronache di questi giorni parlano da sole. E' bastato, infatti, l'annuncio dell'imminente approvazione da parte dell'AIFA, per ora da parte del Comitato tecnico-scientifico in attesa che il Consiglio di amministrazione dia il parere definitivo, perché divampassero le polemiche. Ma è necessario ricordare che la stessa legge 194/78 prevede l'adozione di tutte le tecniche che riducano i rischi di salute della donna. E questa lo è? Come agisce la pillola abortiva?
Il principio attivo della pillola è il mifepristone, il primo antiprogestinico usato in clinica. E' un potente antagonista del progesterone, che, come noto, è l'ormone chiave della gravidanza. Il progesterone, infatti, prepara la mucosa uterina all'annidamento dell'uovo fecondato, riduce la contrattilità uterina ed è, durante la gravidanza, necessario per la perfetta morfogenesi della placenta e per il normale sviluppo dell'embrione. L'ormone agisce sugli organi bersaglio, fra cui la mucosa uterina, tramite l'interazione con il suo recettore specifico, posto sulla superficie delle cellule. E qui si gioca l'effetto antiannidamento di RU486. La molecola, che non è un ormone, impedisce al progesterone di svolgere il suo lavoro, occupandone i recettori nell'apparato genitale femminile. Se assunto anche per breve tempo nelle prime settimane di gravidanza, inibendo l'azione trofica del progesterone sulla mucosa uterina, determina il distacco dell'embrione e quindi l'interruzione della gravidanza. In pratica sostituisce il bisturi attivando gli stessi meccanismi che causano l'aborto spontaneo. Ma non funziona da solo. La procedura abortiva prevede la somministrazione di 600 mg di mifepristone seguita, dopo due giorni, dalla somministrazione di una prostaglandina, generalmente il misoprostolo, che ha la proprietà di indurre la contrazione uterina per agevolare l'espulsione dei tessuti embrionali. E' necessario che la gravidanza non abbia superato la settima settimana (il 49° giorno dall'ultimo ciclo mestruale), periodo in cui non ci sarà bisogno di uno svuotamento chirurgico della cavità uterina per incompleta o mancata espulsione dell'embrione. Non è esattamente l'aspirina, questo va precisato, tanto è vero che non è un farmaco venduto in farmacia. L'aborto farmacologico può comportare il rischio di emorragie, dolori addominali e disturbi gastrointestinali. D'altro canto evita le lesioni uterine da procedura chirurgica e i rischi connessi all'anestesia generale. L'interruzione farmacologica si offre per le donne che sono giunte rapidamente alla chiara decisione di interrompere la gravidanza. Una rapidità, dicono i detrattori, che potrebbe favorire l'incremento degli aborti e una sottovalutazione del problema. La risposta a questo dubbio è che, al contrario c'è un maggiore coinvolgimento della donna che, diventa protagonista assoluta non solo della scelta, ma anche della modalità dell'aborto. Questi sono i dati scientifici. Ma il dibattito, come spesso accade in questi casi, è più di natura filosofica. E allora sì che la questione si fa veramente complicata. Se ne verrà mai a capo?
Marco Malagutti
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Il meccanismo d'azione
Il principio attivo della pillola è il mifepristone, il primo antiprogestinico usato in clinica. E' un potente antagonista del progesterone, che, come noto, è l'ormone chiave della gravidanza. Il progesterone, infatti, prepara la mucosa uterina all'annidamento dell'uovo fecondato, riduce la contrattilità uterina ed è, durante la gravidanza, necessario per la perfetta morfogenesi della placenta e per il normale sviluppo dell'embrione. L'ormone agisce sugli organi bersaglio, fra cui la mucosa uterina, tramite l'interazione con il suo recettore specifico, posto sulla superficie delle cellule. E qui si gioca l'effetto antiannidamento di RU486. La molecola, che non è un ormone, impedisce al progesterone di svolgere il suo lavoro, occupandone i recettori nell'apparato genitale femminile. Se assunto anche per breve tempo nelle prime settimane di gravidanza, inibendo l'azione trofica del progesterone sulla mucosa uterina, determina il distacco dell'embrione e quindi l'interruzione della gravidanza. In pratica sostituisce il bisturi attivando gli stessi meccanismi che causano l'aborto spontaneo. Ma non funziona da solo. La procedura abortiva prevede la somministrazione di 600 mg di mifepristone seguita, dopo due giorni, dalla somministrazione di una prostaglandina, generalmente il misoprostolo, che ha la proprietà di indurre la contrazione uterina per agevolare l'espulsione dei tessuti embrionali. E' necessario che la gravidanza non abbia superato la settima settimana (il 49° giorno dall'ultimo ciclo mestruale), periodo in cui non ci sarà bisogno di uno svuotamento chirurgico della cavità uterina per incompleta o mancata espulsione dell'embrione. Non è esattamente l'aspirina, questo va precisato, tanto è vero che non è un farmaco venduto in farmacia. L'aborto farmacologico può comportare il rischio di emorragie, dolori addominali e disturbi gastrointestinali. D'altro canto evita le lesioni uterine da procedura chirurgica e i rischi connessi all'anestesia generale. L'interruzione farmacologica si offre per le donne che sono giunte rapidamente alla chiara decisione di interrompere la gravidanza. Una rapidità, dicono i detrattori, che potrebbe favorire l'incremento degli aborti e una sottovalutazione del problema. La risposta a questo dubbio è che, al contrario c'è un maggiore coinvolgimento della donna che, diventa protagonista assoluta non solo della scelta, ma anche della modalità dell'aborto. Questi sono i dati scientifici. Ma il dibattito, come spesso accade in questi casi, è più di natura filosofica. E allora sì che la questione si fa veramente complicata. Se ne verrà mai a capo?
Marco Malagutti
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