L'ormone colpisce ancora?

19 marzo 2008
Aggiornamenti e focus

L'ormone colpisce ancora?



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La terapia ormonale sostitutiva, in sigla TOS, è praticamente scomparsa dalle cronache ma, fortunatamente, non dalla ricerca scientifica. E così, a più di sei anni dalla fine degli studi che hanno drasticamente ridimensionato il ruolo della somministrazione di estrogeni e progestinici dopo la menopausa, continuano le indagini. Primo obiettivo, stabilire che cosa è successo dopo l'interruzione del trattamento, come ha fatto uno studio pubblicato da JAMA, il giornale dell'American Medical Association. Lo studio parte là dove era finito il Women Health Initiative, il grande trial che aveva radunato più di 16000, metà circa in trattamento con un placebo e l'altra con estrogeni equini coniugati e medrossiprogesterone associato, la più vecchia forma di terapia ormonale sostitutiva, per molti superata dalle formulazioni successive. Lo studio avrebbe dovuto valutare, nell'arco di 8-9 anni, vantaggi e svantaggi in termini di incidenti cardiovascolari (dalla malattia coronarica alla tromboflebite), osteoporosi e fratture collegate e patologie tumorali, principalmente il tumore della mammella e dell'endometrio, ma non solo.

Si parte dal cuore


Lo studio fu interrotto prematuramente, dopo soli sei anni e mezzo, perché si era dimostrato un eccesso di eventi cardiovascolari gravi tra le donne in trattamento, tale da rendere non etica la prosecuzione. Che cosa sia successo dopo è stato valutato proseguendo, fino al maggio 2005, l'osservazione di tutte le partecipanti. La situazione è tornata alla normalità? Dopo un follow up durato in media poco meno di tre anni, è emerso che la differenza di rischio cardiovascolare si annullava e le differenze tra chi aveva assunto ormoni e chi aveva assunto il placebo non raggiungevano la significatività statistica: rispettivamente il tasso annuo era dell'1,97% e dell'1,9%. E' invece meno buona quella che il vantaggio in termini di minori fratture (attribuibili all'osteoporosi) è andato scemando una volta sospesa la terapia. Se durante il trattamento il rischio si era ridotto del 25% circa, successivamente la riduzione calava al 9%.

Si arriva ai tumori


C'è poi il capitolo dei tumori, più diversificato. Durante la terapia si era osservato un aumento dei carcinomi della mammella, in particolare quelli positivi per i recettori degli estrogeni; d'altra parte, venivano a diminuire i tumori del colon-retto: il rischio si riduceva del 38%, che non è poco. Dopo l'interruzione il rischio di tumori del colon si riportava alla media, quindi addio protezione, rimaneva comunque un maggior numero di diagnosi di tumore mammario rispetto alle donne che avevano assunto il placebo: la diagnosi riguardava lo 0,33% di queste ultime e lo 0,42% di quelle già in trattamento. Insomma sembrerebbe che l'effetto negativo si trascini nel tempo, ma a questo proposito va riportato che la stessa analisi statistica indica che potrebbe pesare l'inizio della malattia all'epoca del trattamento. Peraltro, non si può neppure trascurare che la maggiore mortalità per tumore riscontrata tra le ex utenti della TOS riguardava tumori estranei all'uso degli estrogeni. E visto che si parla di mortalità, va detto che mentre durante il trial clinico questa era simile nei due gruppi, nella fase successiva si notava un certo aumento nelle donne che avevano assunto gli ormoni (il 15% circa), ma non si trattava di un dato statisticamente significativo. Infine, c'é un indice meno preciso, ma utile a dipingere la situazione, quello del rischio globale, che effettivamente vede svantaggiate le donne sottoposte alla TOS: 1,20 contro 1,06 del gruppo che aveva assunto il placebo. Insomma, era stata una buona idea sospendere la terapia sostitutiva o, quantomeno, quella terapia.

Maurizio Imperiali



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