Un colpo all'Herpes, uno all'HIV

02 marzo 2007
Aggiornamenti e focus

Un colpo all'Herpes, uno all'HIV



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Tra il virus herpes simplex 2 (HSV-2), responsabile dell'herpes genitalis, la più frequente infezione a trasmissione sessuale, e l'HIV-1, agente causale della grande maggioranza dei casi di AIDS, potrebbe esistere un'alleanza. Dati epidemiologici e biologici, infatti, depongono fortemente per un'associazione tra le due infezioni e una recente meta-analisi ha mostrato per i sieropositivi all'HSV-2 un rischio triplicato di acquisire anche l'HIV-1, rispetto ai sieronegativi. Stabilire la relazione tra i due e scoprirne i meccanismi può essere importante per la prevenzione e permettere d'individuare nuove strategie terapeutiche anti-AIDS. A questo scopo una ricerca ha valutato se una terapia anti-HSV in persone con la doppia infezione potesse essere efficace contemporaneamente contro l'HIV, verificando un effetto anti-replicativo verso quest'ultimo che potrebbe avere utili sviluppi.

HSV-2 come facilitatore


Studi precedenti hanno evidenziato che l'infezione da HSV-2 può aumentare la quantità dell'RNA (stampo del DNA per fare le proteine) dell'HIV-1 in sede genitale e l'ipotesi che il primo virus sia un facilitatore del secondo è sostenuta da vari meccanismi coinvolti. Questo porterebbe a una maggiore replicazione dell'HIV nella mucosa genitale e forse anche a livello sistemico: a supporto di questo la riattivazione sintomatica dell'HSV-2 è stata associata a temporaneo aumento di RNA di HIV-1 nel plasma, e la terapia con l'antivirale acyclovir a diminuzione di questi livelli. Nello studio attuale si è quindi somministrato un altro antivirale, valacyclovir, oppure placebo, a 140 donne ugandesi con la doppia infezione che non erano candidabili alla terapia antiretrovirale altamente attiva (HAART), secondo le raccomandazioni dell'OMS per i paesi in via di sviluppo. Le partecipanti avevano in media una conta di linfociti CD4 di 446 per mm3 e una carica virale plasmatica di 4,44 (log10 copie per ml). La terapia è durata tre mesi, il follow-up anche.

Effetto indiretto sulla riattivazione


Nelle 136 donne incluse nell'analisi, 68 con valacyclovir e 68 con placebo, il trattamento con l'antivirale si è associato a una significativa riduzione della frequenza di HIV-1 RNA in sede genitale (rischio relativo 0,41) e della quantità media del virus nella stessa sede (carica -0,29). Con l'antivirale sono diminuiti anche i livelli plasmatici di HIV-1 RNA, mentre non c'è stata una riduzione significativa nell'individuazione dell'HIV. Di rilievo che gli effetti osservati sono aumentati durante i tre mesi d'osservazione, suggerendo che una durata maggiore del trattamento avrebbe potuto ottenere una riduzione ancora più marcata dei livelli di HIV-1 RNA. Gli autori precisano che è improbabile che l'acyclovir abbia un effetto farmacologico diretto sull'HIV, ma la spiegazione possibile è che una terapia soppressiva dell'HSV prevenga le riattivazioni cliniche e subcliniche responsabili dell'aumentata carica virale dell'HIV-1. Anche se occorreranno altri studi e questo trial non ha ottenuto dei risultati clinici, concludono che queste evidenze potrebbero essere importanti: infatti molte persone sono sieropositive a entrambi i virus, e una forte riduzione come quella con acyclovir dell'HIV-1 RNA genitale e plasmatico suggerisce che forme sostenute di controllo dell'HSV-2 (con antivirali o con un vaccino) potrebbero ridurre anche la trasmissione dell'HIV-1, soprattutto nelle popolazioni che hanno un ruolo importante nella trasmissione del virus. A livello individuale, la riduzione plasmatica dell'HIV-1 RNA potrebbe comportare un beneficio immunologico oltre la durata del trattamento e al limite un rallentamento della malattia da HIV.

Elettra Vecchia



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