Due muri contro l'HIV

24 aprile 2008
Aggiornamenti e focus

Due muri contro l'HIV



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Il virus dell'HIV ha bisogno di una cellula ospite per riprodursi e sopravvivere. Il ciclo replicativo del virus avviene per fasi: dopo l'ancoraggio alla cellula, principalmente tramite due co-recettori, chiamati CCR5 e CXCR4 e la fusione dell'HIV con la cellula, il virus utilizza l'enzima trascrittasi inversa per tradurre le istruzioni codificate nel filamento di RNA virale a singola elica in un DNA virale, una forma di codice genetico che la cellula può "leggere". Il DNA così ottenuto viene poi unito al DNA cellulare dall'enzima integrasi. A questo punto interviene la proteasi che si occupa di preparare le proteine che costituiranno i corpi dei nuovi virus.

Impedire l'accesso


Da poco è arrivato in Italia un nuovo farmaco che ha affrontato il problema HIV da un punto di vista innovativo. La nuova molecola, battezzata maraviroc, ha un meccanismo d'azione completamente diverso dagli altri farmaci finora impiegati: invece di attaccare l'HIV-1 all'interno delle cellule, impedisce l'entrata del virus nelle cellule stesse, bloccando la principale porta di ingresso, il co-recettore CCR5. "Con maraviroc abbiamo uno strumento innovativo per combattere l'HIV nei pazienti con virus che utilizzano il recettore CCR5 per unirsi alla cellula. Impedire al virus di entrare, vuol dire bloccare a monte i meccanismi di replicazione del virus - ha spiegato Adriano Lazzarin, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive IRCCS San Raffaele. Gli altri farmaci - ha spiegato - agiscono quando l'HIV è già entrato nella cellula e probabilmente ha già provocato alcuni danni. Con maraviroc, questa eventualità viene esclusa a priori". Naturalmente quando si tratta della variante del virus che ha un tropismo per questo recettore, cioè si dirige verso CCR5, ragion per cui l'inizio della terapia è preceduto da un test che stabilisce la natura del tipo virale.

Inibire l'integrazione


Direttamente dall'Italia arriva un'altra nuova via terapeutica. Un nuovo farmaco, così innovativo da essere il primo di una nuova classe, quella degli inibitori dell'integrasi. La nuova molecola si chiama raltegravir ed è stata messa a punto dai ricercatori dell'Istituto di Ricerche di Biologia Molecolare (IRBM) di Pomezia. Si tratta di un farmaco promettente per diversi motivi: raltegravir è stato concepito per inibire la replicazione del virus abbassando rapidamente la carica virale portandola, come richiesto dalle linee guida in materia, al di sotto della 50 copie per millilitro di sangue, un valore che equivale quasi all'assenza del virus nel sangue, alzando nel contempo la conta dei linfociti CD4 il tutto senza presentare gli effetti collaterali normalmente correlati alla somministrazione di terapie antiretrovirali. Al momento la terapia con raltegravir è indicata per i pazienti in cui altre terapie anti-Hiv hanno fallito, ma sono ancora in corso sperimentazioni per verificare l'opportunità d'uso del medicinale come terapia di prima linea. Un ruolo fondamentale deve essere svolto anche dal paziente che deve essere responsabilizzato sull'aderenza alla terapia. L'assunzione del farmaco deve essere particolarmente regolare e puntuale. Ci si può concedere meno del 5 per cento di "dimenticanze" se non si vuole correre il rischio di vanificare le potenzialità del farmaco con l'innesco di resistenze alla terapia contro le quali non c'è rimedio.

Il futuro dei pazienti

Alla conferenza stampa di presentazione di raltegravir, i pazienti erano rappresentati da Rosaria Iardino presidente del Network persone sieropositive. "La messa a punto di queste nuove molecole - ha detto Iardino - ci permette un'aspettativa di vita di oltre 30 anni. Si può dire, quindi che oggi, molti pazienti conducono una vita molto vicina alla normalità. Tuttavia - ha voluto precisare - la convivenza con l'HIV rende un po' diversi perché la terapia necessaria al controllo dell'infezione mette in pericolo altri organi che soffrono degli effetti collaterali dei farmaci. Senza dimenticare le discriminazioni sui luoghi di lavoro dove spesso viene chiesto, anche dove non necessario, l'esame dell'HIV come condizione per l'assunzione". A margine della conferenza stampa abbiamo chiesto a Rosaria Iardino un consiglio per una persona che venisse oggi a sapere di essere stata contagiata dal virus. La risposta è stata secca: "Prima di chiedere qualsiasi cosa, riconoscimenti di diritti, aiuti o altro, l'impegno deve essere uno solo. Fare tutto il possibile per non contagiare altre persone". Inconfutabilmente una terapia potentissima contro l'HIV.

Gianluca Casponi



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