04 agosto 2008
Aggiornamenti e focus, Speciale HIV
L'AIDS si normalizza
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Sono sempre più gli studi che riportano un drastico calo della mortalità tra i soggetti infettati dall'HIV. Il merito è in particolare della terapia antiretrovirale e della sua sempre maggiore diffusione. In particolare nei paesi industrializzati. E' importante, però, secondo quanto afferma uno studio appena pubblicato da Jama, avere stime più precise della mortalità attesa per capire quanto siano efficaci i progressi terapeutici e quale sarà l'impatto futuro della malattia sull'organizzazione sanitaria. Ma sarebbe importante anche definire il tasso di mortalità tra i sieropositivi in rapporto alla mortalità della popolazione non infetta. Un aspetto finora poco monitorato. Sono pochi, infatti, gli studi che hanno fatto questo tipo di comparazione e quei pochi hanno, comunque rilevato una ridotta aspettativa di vita per i soggetti sieropositivi. Seppure con un trend in miglioramento. Lo studio pubblicato da Jama cerca di colmare questa lacuna, considerando anche le varie fasi dell'infezione e la sua durata. Nel frattempo anche la realizzazione del vaccino riprende quota.
I risultati dello studio sono stati particolarmente favorevoli. Il gap di mortalità tra i soggetti sieropositivi e la popolazione generale è andato restringendosi dal 1996. Un dato che coincide con l'introduzione della terapia antiretrovirale. Quanto basta a concludere che i soggetti sieropositivi nel mondo sviluppato non hanno più probabilità di morire nei cinque anni seguenti l'infezione degli uomini e delle donne nella popolazione generale. Un dato che, precisano i ricercatori, non riguarda i soggetti infettati con l'uso di droghe. E un dato altamente positivo che sottolinea come sia importante che i soggetti siano identificati e trattati precocemente. E questo benché al momento non esistano vaccini o cure definitive. Ma le terapie disponibili sono in grado di mantenere i pazienti in vita per anni anche senza l'eradicazione del virus.
Dei 16534 soggetti esaminati, con una durata media di follow-up di 6,3 anni, il dato del rischio di mortalità è andato progressivamente scemando, fino ad annullarsi nel 2000, cinque anni dopo il 1996, anno di introduzione sempre più diffusa della terapia antiretrovirale. Il gruppo di soggetti più giovani esaminati, tra i 15 e i 24 anni, hanno un 5% di probabilità in più di morire a dieci anni dall'infezione e un 7% in più a 15 anni rispetto alla popolazione sana. E le percentuali sono leggermente più alte sopra i 45 anni. Quanto più dura l'infezione tanto più aumenta il rischio. Ma sul fronte dell'Hiv le buone notizie non sono finite. Il Centro Nazionale AIDS dell'Istituto Superiore di Sanità avvia la seconda fase del programma di sperimentazione clinica del vaccino con la partecipazione di 10 centri clinici sull'intero territorio nazionale. E la sperimentazione del vaccino sarà resa accessibile alle persone con infezione da Hiv. Il nuovo protocollo già approvato dai comitati etici di 9 dei 10 centri clinici coinvolti, riguarda 128 soggetti adulti con infezione da virus HIV-1, di età compresa tra i 18 e i 55 anni. L'obiettivo primario è quello di valutare l'immunogenicità del vaccino, oltre a valutarne la sicurezza, già peraltro verificata nella fase 1. In attesa delle prime conferme.
Marco Malagutti
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Il gap si riduce
I risultati dello studio sono stati particolarmente favorevoli. Il gap di mortalità tra i soggetti sieropositivi e la popolazione generale è andato restringendosi dal 1996. Un dato che coincide con l'introduzione della terapia antiretrovirale. Quanto basta a concludere che i soggetti sieropositivi nel mondo sviluppato non hanno più probabilità di morire nei cinque anni seguenti l'infezione degli uomini e delle donne nella popolazione generale. Un dato che, precisano i ricercatori, non riguarda i soggetti infettati con l'uso di droghe. E un dato altamente positivo che sottolinea come sia importante che i soggetti siano identificati e trattati precocemente. E questo benché al momento non esistano vaccini o cure definitive. Ma le terapie disponibili sono in grado di mantenere i pazienti in vita per anni anche senza l'eradicazione del virus.
Come si è svolto lo studio
Dei 16534 soggetti esaminati, con una durata media di follow-up di 6,3 anni, il dato del rischio di mortalità è andato progressivamente scemando, fino ad annullarsi nel 2000, cinque anni dopo il 1996, anno di introduzione sempre più diffusa della terapia antiretrovirale. Il gruppo di soggetti più giovani esaminati, tra i 15 e i 24 anni, hanno un 5% di probabilità in più di morire a dieci anni dall'infezione e un 7% in più a 15 anni rispetto alla popolazione sana. E le percentuali sono leggermente più alte sopra i 45 anni. Quanto più dura l'infezione tanto più aumenta il rischio. Ma sul fronte dell'Hiv le buone notizie non sono finite. Il Centro Nazionale AIDS dell'Istituto Superiore di Sanità avvia la seconda fase del programma di sperimentazione clinica del vaccino con la partecipazione di 10 centri clinici sull'intero territorio nazionale. E la sperimentazione del vaccino sarà resa accessibile alle persone con infezione da Hiv. Il nuovo protocollo già approvato dai comitati etici di 9 dei 10 centri clinici coinvolti, riguarda 128 soggetti adulti con infezione da virus HIV-1, di età compresa tra i 18 e i 55 anni. L'obiettivo primario è quello di valutare l'immunogenicità del vaccino, oltre a valutarne la sicurezza, già peraltro verificata nella fase 1. In attesa delle prime conferme.
Marco Malagutti
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