Meglio non aspettare

28 novembre 2008
Aggiornamenti e focus, Speciale HIV

Meglio non aspettare



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Contrarre l'infezione da HIV ancora prima di nascere o nel momento in cui si sta venendo al mondo rappresenta una circostanza che aumenta di molto il tasso di progressione della malattia conclamata (AIDS) e mortalità, anche in presenza di una percentuale alta di linfociti CD4. L'opportunità o meno di avviare precocemente il neonato a una terapia antiretrovirale viene considerata una strategia opportuna, ma definire con esattezza la tempistica e la durata è ancora oggetto di studio e di sperimentazione.

Due criteri per una terapia


Il gruppo di ricerca CHER (Children with HIV Early Antiretroviral Therapy) ha ipotizzato che l'inizio precoce di una terapia antiretrovirale limitata a un certo periodo di tempo, subito dopo un'infezione primaria, quando ancora il sistema immunitario è quasi del tutto immaturo, potrebbe ritardare l'inizio della terapia prolungata e continua. Un'opportunità che risponderebbe, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, alle problematiche di ristretta disponibilità di farmaci, ma anche di tossicità nel lungo termine, di fenomeni di resistenza e di risorse limitate. Per avere delle risposte, i ricercatori hanno incluso nel campione, neonati tra sei e 12 settimane di vita con infezione da HIV, contratta per trasmissione materna o durante il parto, e una percentuale di almeno 25% di CD4. Sono stati adottati criteri immunologici e clinici, per iniziare la terapia. I bambini venivano assegnati o a ricevere la terapia antiretrovirale immediatamente fino a un anno o due di età (modalità precoce) oppure a iniziarla quando la percentuale di CD4 scendeva sotto il 20% (oppure sotto il 25% se il bambino aveva meno di un anno) oppure ancora quando venivano riscontrati i criteri clinici (modalità ritardata). Sono stati inseriti in questi due gruppi, rispettivamente 125 e 250 bambini e monitorati per circa tre anni e il primo dato che è emerso riguardava la mortalità: in 32 bambini la terapia aveva fallito ed erano deceduti, 11 (4%) con la terapia precoce e 21 (16%) con la terapia ritardata.

Tempistiche vitali


In sostanza i risultati migliori sono stati ottenuti con la terapia avviata immediatamente e proseguita per uno o al massimo due anni: la progressione della malattia ha interessato il 6,3% dei bambini contro il 25,6% del gruppo trattato in base a criteri immunologici e clinici. Il ricovero si è reso necessario, rispettivamente, nel 16,3% dei casi rispetto al 36,8% e, a 12 settimane, la percentuale di CD4 era salita del 4% contro un calo del 7,5%. Un dato su tutti ha colpito gli autori della ricerca: i bambini arruolati nel campione avevano in media poco più di 7 settimane di vita e l'avvio della terapia in questa fase comportava i migliori esiti clinici, rispetto all'applicazione di criteri immunologici o clinici, con una riduzione della mortalità del 76%. Sulla base di queste evidenze, gli autori concludono che rinviare la terapia in attesa di un calo dei CD4 o attendere il peggioramento del quadro clinico con comparsa di altre patologie sintomatiche (polmonite interstiziale linfoide, bronchiectasia, nefropatia, cardiomiopatia, mancata crescita) rappresenta un ritardo che fa la differenza. I dati raccolti suggericono chiaramente di iniziare il trattamento antiretrovirale subito, indipendentemente dalla conta dei CD4 notoriamente usato come parametro principale per le decisioni sulla gestione dell'infezione.

Simona Zazzetta



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