22 novembre 2006
Aggiornamenti e focus
L'attività rallenta il declino
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La demenza ha conseguenze pesanti soprattutto perché compromette l'indipendenza e la partecipazione attiva, riduce la qualità di vita dei malati e dei familiari, sconvolge relazioni e amicizie, senza contare il peso crescente per i sistemi sanitari dei paesi industrializzati. Gli stessi caregiver, cioè gli assistenti, sperimentano un senso di impotenza, di isolamento sociale, di perdita di autonomia. Mentre i farmaci anti-demenza mostrano ancora scarse capacità di miglioramento della sintomatologia, gli interventi non farmacologici di tipo cognitivo-comportamentale sembrano produrre effetti simili o anche maggiori e senza gli effetti indesiderati delle molecole, ma non sono sempre disponibili. Un approccio che è apparso in grado di produrre benefici è la terapia occupazionale, in quanto migliora la capacità del malato di svolgere attività quotidiane e avere relazioni di socializzazione, e al tempo stesso alleggerisce l'impatto sui caregiver: aspetti, questi, che vengono sempre più considerati di rilievo clinico equivalente se non superiore a parametri quali le performance di tipo cognitivo. L'efficacia di un trattamento occupazionale per malati di demenza è stata saggiata, ricevendone conferma, in un trial olandese.
Allo studio hanno partecipato 135 soggetti di età uguale o superiore a 65 anni, con diagnosi di demenza da lieve a moderata, senza significativa depressione, arruolati in strutture ambulatoriali o day clinic di dipartimenti geriatrici; inoltre sono stati coinvolti anche i loro caregiver. I partecipanti sono stati assegnati in modo randomizzato a dieci sedute di terapia occupazionale a uso domiciliare nell'arco di cinque settimane, compresi interventi cognitivo-comportamentali, o al gruppo controllo. Si è insegnato a selezionare le attività prioritarie più significative da migliorare, valutando possibili modifiche da apportare al domicilio del paziente o alle attività stesse per adattarli alle disabilità del soggetto, e mostrando ai pazienti come ottimizzare i risultati, oltre che istruendo gli assistenti su come supervisionare il tutto e risolvere i problemi. Con apposite scale di misurazione si è effettuata una valutazione iniziale e si poi si sono riscontrati gli effetti a distanza di sei settimane e di tre mesi. Risultati: i punteggi sono migliorati significativamente in relazione sia ai pazienti sia agli assistenti e il miglioramento era ancora significativo a tre mesi, giustificando quindi un'implementazione di questo tipo di intervento.
La terapia occupazionale è risultata quindi efficace nell'aumentare la funzionalità quotidiana dei malati di demenza, migliorando le abilità e riducendo il bisogno di assistenza, e nell'alleviare il carico per i caregiver, che si sentono più competenti e meno impotenti: un complessivo effetto positivo simile a quello mostrato per questo approccio nei confronti di persone colpite da ictus cerebrale. In più, l'ampiezza dei miglioramenti ottenuti nel trial è stata superiore a quella apparsa in studi che valutavano l'utilità di farmaci o di interventi psico-cognitivi. Una maggiore efficacia, per la terapia occupazionale, alla quale ha probabilmente contribuito in gran parte proprio il training rivolto agli assistenti, diventati più abili nel gestire la situazione. Resta il fatto che sul lungo periodo approcci come questo potrebbero consentire una minore dipendenza da risorse assistenziali e sanitarie e una diminuita necessità di istituzionalizzare i malati di demenza, a tutto vantaggio della società.
Elettra Vecchia
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Miglioramenti evidenti ancora a tre mesi
Allo studio hanno partecipato 135 soggetti di età uguale o superiore a 65 anni, con diagnosi di demenza da lieve a moderata, senza significativa depressione, arruolati in strutture ambulatoriali o day clinic di dipartimenti geriatrici; inoltre sono stati coinvolti anche i loro caregiver. I partecipanti sono stati assegnati in modo randomizzato a dieci sedute di terapia occupazionale a uso domiciliare nell'arco di cinque settimane, compresi interventi cognitivo-comportamentali, o al gruppo controllo. Si è insegnato a selezionare le attività prioritarie più significative da migliorare, valutando possibili modifiche da apportare al domicilio del paziente o alle attività stesse per adattarli alle disabilità del soggetto, e mostrando ai pazienti come ottimizzare i risultati, oltre che istruendo gli assistenti su come supervisionare il tutto e risolvere i problemi. Con apposite scale di misurazione si è effettuata una valutazione iniziale e si poi si sono riscontrati gli effetti a distanza di sei settimane e di tre mesi. Risultati: i punteggi sono migliorati significativamente in relazione sia ai pazienti sia agli assistenti e il miglioramento era ancora significativo a tre mesi, giustificando quindi un'implementazione di questo tipo di intervento.
Impatto alleggerito a livello sociale
La terapia occupazionale è risultata quindi efficace nell'aumentare la funzionalità quotidiana dei malati di demenza, migliorando le abilità e riducendo il bisogno di assistenza, e nell'alleviare il carico per i caregiver, che si sentono più competenti e meno impotenti: un complessivo effetto positivo simile a quello mostrato per questo approccio nei confronti di persone colpite da ictus cerebrale. In più, l'ampiezza dei miglioramenti ottenuti nel trial è stata superiore a quella apparsa in studi che valutavano l'utilità di farmaci o di interventi psico-cognitivi. Una maggiore efficacia, per la terapia occupazionale, alla quale ha probabilmente contribuito in gran parte proprio il training rivolto agli assistenti, diventati più abili nel gestire la situazione. Resta il fatto che sul lungo periodo approcci come questo potrebbero consentire una minore dipendenza da risorse assistenziali e sanitarie e una diminuita necessità di istituzionalizzare i malati di demenza, a tutto vantaggio della società.
Elettra Vecchia
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