La vita continua

19 settembre 2008
Aggiornamenti e focus

La vita continua



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Una società che invecchia si ammala di più, e le malattie che insorgono in età tarda o avanzata tendono a cronicizzare fino a diventare terminali. E se per terminale si intende una patologia che non torna più indietro e che accompagna fino alla fine della vita, tra queste va inclusa anche la demenza. In quest'ottica richiede conoscenza e interventi adeguati per poter pianificare la sua gestione. Sono utili, per esempio, dati sulle cause, sul decorso della malattia, sulle sue conseguenze e in generale sull'aspettativa di vita. Con un elemento comune a tutti gli approcci, a questo punto, palliativi: conservare la qualità della vita, del paziente e di chi se ne prende cura.

Diagnosi sfuggente


Una prima difficoltà, nel procedere in queste valutazioni, è la diagnosi: gli strumenti per accertare l'insorgenza di demenza non sono così efficaci e spesso si ritarda anche di anni prima di capire la natura del problema. Per questo motivo, diventa difficile disegnare le dimensioni reali di un fenomeno che sfugge ad analisi statistiche definitive. Uno studio di consenso del 2005, indicava circa 24,3 milioni di casi, con un'incidenza di 4,6 milioni di nuove diagnosi ogni anno, con previsioni che parlavano di un raddoppio del numero di casi entro il 2040. Diversi studi hanno, inoltre, rilevato che la demenza aumenta fino a quattro volte la mortalità e, anche in caso di lieve danno cognitivo, il rischio aumenta e persiste nelle fasce di età più anziane. Tuttavia, anche il dato di sopravvivenza risente delle variabili che intervengono durante gli studi di valutazione, a cominciare dallo stesso disegno dello studio e dai criteri di inclusione. Motivo per cui restano incertezze anche su che cosa influenzi l'attesa di vita in questi pazienti.

Aspettativa condizionata


Alcuni autori hanno tentato di dare una risposta con uno studio di popolazione, non limitandosi quindi a pazienti ricoverati o selezionati secondo particolari criteri. Nell'arco di un monitoraggio durato 14 anni (1991-2003) hanno rilevato 438 casi di demenza su una popolazione di 13 mila soggetti. L'analisi condotta su questi pazienti ha portato informazioni preziose, per esempio che il periodo di sopravvivenza dopo la diagnosi si attestava a 4,1 anni per gli uomini e 4,6 anni per le donne, con alcune oscillazioni dovute all'età. C'era, infatti, una differenza di sette anni nell'aspettativa di vita tra la fascia più giovane (56-69), che sopravviveva per circa 10 anni dopo l'insorgenza, e quella più anziana di ultranovantenni, che vivevano per altri 3 anni circa. Inoltre, anche se non in modo significativo, le persone che prima dell'insorgenza della demenza godevano di buona salute avevano un anno di vantaggio su chi invece aveva avuto una salute più cagionevole, ma se poi i danni cognitivi diventavano disabilitanti la sopravvivenza si riduceva in ogni caso.

Sostegno integrato

Genere, età e funzionalità rappresentavano, quindi, i fattori che potevano condizionare la sopravvivenza dopo la diagnosi, suggerendo già alcuni elementi per fare previsioni e pianificare l'assistenza e gli interventi. L'obiettivo è garantire il massimo della qualità della vita e prevenire il peggioramento della disabilità e il medico ha un ruolo fondamentale per individuare nuovi bisogni emergenti e che potrebbero essere causa di ulteriore declino. Di questi pazienti vanno, quindi, monitorati memoria, comportamento, attività quotidiane, ma anche dolore, disidratazione, effetti collaterali di farmaci, tenendo presente che il sostegno psicologico e psicosociale da parte di specialisti è parte integrante della strategia. Infine, è importante non ritardare la diagnosi di demenza pensando che sia qualcosa di inutile, data l'impossibilità di curarla: significherebbe creare o consolidare uno stigma che peggiora la qualità della vita.

Simona Zazzetta



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