Scritto nei geni

11 marzo 2005
Aggiornamenti e focus

Scritto nei geni



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Quasi 100 anni fa, Alois Alzheimer descrisse per la prima volta le caratteristiche cliniche e patologiche di una forma di demenza che da lì in poi prese il suo nome. Allora si pensava che la malattia non fosse in alcun modo ereditaria. Oggi, a distanza di un secolo, almeno il 25% dei casi di Alzheimer è di tipo ereditario, ovvero ha cause genetiche: questi casi si possono distinguere in malattie a comparsa precoce (i sintomi appaiono prima dei 65 anni) e a comparsa tardiva (i sintomi appaiono dopo i 65 anni). L'anno della svolta è stato il 2003 quando è stato pubblicato sulla rivista Nature un importante annuncio scientifico: il completamento della decifrazione del cromosoma umano numero 14, su cui risiedono geni che, se alterati, sono responsabili di circa 60 malattie. Tra questi il PS1, coinvolto in una forma precoce della malattia di Alzheimer (35-60 anni), che incide per il 3-5% sul totale dei casi. Da quel momento ci sono stati una serie di altri progressi. L'ultimo in ordine di tempo è stata pubblicato sull'ultimo numero del New England Journal of Medicine.

Quelli noti


A oggi sono stati identificati quattro geni che, se difettosi, possono aumentare il rischio di ammalarsi. Tre di questi sono coinvolti nell'Alzheimer a comparsa precoce: il gene della proteina APP che si trova sul cromosoma 21, e i geni per la presenilina1 (PS1) che si trova sul cromosoma 14 e per la presenilina2 (PS2) che si trova sul cromosoma 1. Il gene che codifica per la proteina APP è particolarmente importante perché un suo frammento, la beta amiloide, forma le placche di amiloide che si depositano nel tessuto cerebrale dei malati. Alterando la trasmissione nervosa e facendo soffrire lentamente le cellule. Nel cromosoma 19, invece, si trova un gene, ApoE, responsabile della produzione della apolipoproteina E, che sembra essere associata alla malattia di Alzheimer a insorgenza tardiva. Ci sono varie forme di questo gene, delle quali una, chiamata epsilon-4, è più frequente nei malati di Alzheimer, anche se può essere presente in soggetti assolutamente normali. Si ritiene, perciò, che le persone con questo tipo di apolipoproteina E siano più suscettibili di ammalarsi. Il ruolo dei geni nell'aumentare il rischio di contrarre la malattia di Alzheimer è quindi assai differente: i primi tre geni, PS1, PS2, APP, se alterati, causano direttamente la malattia e le alterazioni vengono ereditate da genitori obbligatoriamente malati. Il quarto gene è presente in varie forme in tutti i soggetti; una di queste forme, e4, aumenta il rischio di ammalarsi, indipendentemente dalla familiarità. L'ultima scoperta pubblicata sul New England rientra in questa categoria di geni.

Quello nuovo


I ricercatori statunitensi hanno, infatti, identificato una nuova area del cervello che sembra coinvolta nella malattia di Alzheimer. L'area è ubicata sul cromosoma 9 e in particolare i ricercatori hanno preso in esame i polimorfismi, ossia le varianti, di tre geni: APBA1, UBQLN1 e ABCA1 in due coorti indipendenti affette dalla malattia su base familiare. I geni - dicono i ricercatori - sono stati scelti sulla base del loro provato o presunto coinvolgimento nella genesi della malattia. Al termine dello studio i ricercatori hanno riscontrato un ruolo nella genesi della malattia di uno di questi geni, UBQLN1, che codificano per l'ubiquilina. Ma come agisce? L'ubiquilina è una proteina che controlla il turnover della gamma-secretasi, uno degli enzimi che producono beta-proteina. Alcune sue varianti genetiche favorirebbero l'attività della gamma-secretasi e quindi la produzione di beta-proteina. La sua importanza epidemiologica resta da stabilire in ulteriori studi. Intanto il passo avanti nel lungo cammino della ricerca genetica è sicuramente degno di nota.

Marco Malagutti



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