16 dicembre 2005
Aggiornamenti e focus
Quel cromosoma in più
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Basta un cromosoma in più per mettere tutto a soqquadro e determinare una delle sindromi genetiche più comuni che causano il ritardo mentale: la sindrome di Down. La probabilità che si verifichi è una volta ogni 800 nascite circa, ma la probabilità è legata all’età materna; dipende dalla errata formazione dei gameti, ovuli e spermatozoi, o meglio dell’errata distribuzione del corredo cromosomico.
Tutte le cellule di un organismo umano (cellule somatiche) sano, hanno un corredo cromosomico doppio di 46 cromosomi, 22 coppie e una coppia di cromosomi sessuali (XX nelle donne, XY negli uomini). Il processo di produzione di gameti fa in modo che si formino cellule con un corredo cromosomico dimezzato (23), così che quando si uniscono nella fecondazione si ottenga una cellula con il corredo completo. Può accadere, per lo più nelle donne avanti con gli anni, che durante questo processo una coppia di cromosomi, la 21, anziché separarsi rimanga appaiata e finisca nello stesso ovulo. Il risultato che si ottiene con la fecondazione è un embrione che contiene 47 cromosomi nelle sue cellule somatiche, cioè con tre cromosomi 21 (da cui l’altro nome della sindrome, trisomia 21). La conseguenza di questo, apparentemente piccolo, errore è un quadro clinico complesso in cui si presentano varie sintomatologie, una particolare fisionomia del volto e il ritardo mentale. Aumentano le probabilità di ipotiroidismo congenito, di disturbi del sistema nervoso autonomo, dal 66 all’89% dei casi presenta un abbassamento dell’udito, il 3% la cataratta. Metà dei bambini nasce con patologie cardiache congenite, spesso associate all’insorgenza precoce di ipertensione polmonare. In una piccola percentuale (5-13%) compaiono convulsioni, con una probabilità 10 volte superiore rispetto alla popolazione generale.
Al quadro clinico si aggiunge anche il ritardo mentale, al quale viene dato precocemente sostegno in fase prescolare e scolare. Negli adulti che hanno superato i 40 anni si sviluppa una forma di demenza molto simile a quella che caratterizza il morbo di Alzheimer, con perdita di memoria e difficoltà di giudizio o valutazione della realtà. Ma tra le due malattie esiste più di una somiglianza: infatti, anche a livello neuropatologico sembrano esserci similitudini, tanto da far ipotizzare trattamenti terapeutici analoghi. Uno dei punti in comune è una molecola, il mioinositolo, che ha un’azione amiloidogenica, vale a dire che condiziona il deposito della proteina beta-amiloide, che caratterizza il cervello dei soggetti alzheimeriani. Grazie a metodi spettroscopici non invasivi, che sfruttano al risonanza magnetica per rilevare quali sostanze chimiche sono presenti nel cervello e in che quantità, la sostanza è stata rinvenuta nei casi di morbo di Alzheimer. E a dimostrazione delle basi genetiche della malattia, è stato isolato anche il gene coinvolto nel trasporto del mioinositolo, che si trova proprio sul cromosoma 21, quello presente il triplice copia nelle persone Down. Infatti, confrontando i livelli di mioinositolo in soggetti adulti, con sindrome di Down non ancora evoluta in demenza, con quelli di soggetti sani, si osservava un incremento significativo del 12% delle concentrazioni. E per quanto la demenza non fosse già in atto, si registravano difficoltà cognitive. Gli autori della ricerca non danno per scontato che in questi pazienti aumenti il rischio di sviluppare la demenza alzheimeriana, e infatti invocano ulteriori ricerche in merito. Servono anche studi orientati alla terapia, per determinare se la riduzione della concentrazione cerebrale del mioinositolo possa avere dei benefici sul deficit cognitivo.
Simona Zazzetta
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Errori di partenza
Tutte le cellule di un organismo umano (cellule somatiche) sano, hanno un corredo cromosomico doppio di 46 cromosomi, 22 coppie e una coppia di cromosomi sessuali (XX nelle donne, XY negli uomini). Il processo di produzione di gameti fa in modo che si formino cellule con un corredo cromosomico dimezzato (23), così che quando si uniscono nella fecondazione si ottenga una cellula con il corredo completo. Può accadere, per lo più nelle donne avanti con gli anni, che durante questo processo una coppia di cromosomi, la 21, anziché separarsi rimanga appaiata e finisca nello stesso ovulo. Il risultato che si ottiene con la fecondazione è un embrione che contiene 47 cromosomi nelle sue cellule somatiche, cioè con tre cromosomi 21 (da cui l’altro nome della sindrome, trisomia 21). La conseguenza di questo, apparentemente piccolo, errore è un quadro clinico complesso in cui si presentano varie sintomatologie, una particolare fisionomia del volto e il ritardo mentale. Aumentano le probabilità di ipotiroidismo congenito, di disturbi del sistema nervoso autonomo, dal 66 all’89% dei casi presenta un abbassamento dell’udito, il 3% la cataratta. Metà dei bambini nasce con patologie cardiache congenite, spesso associate all’insorgenza precoce di ipertensione polmonare. In una piccola percentuale (5-13%) compaiono convulsioni, con una probabilità 10 volte superiore rispetto alla popolazione generale.
Punti in comune
Al quadro clinico si aggiunge anche il ritardo mentale, al quale viene dato precocemente sostegno in fase prescolare e scolare. Negli adulti che hanno superato i 40 anni si sviluppa una forma di demenza molto simile a quella che caratterizza il morbo di Alzheimer, con perdita di memoria e difficoltà di giudizio o valutazione della realtà. Ma tra le due malattie esiste più di una somiglianza: infatti, anche a livello neuropatologico sembrano esserci similitudini, tanto da far ipotizzare trattamenti terapeutici analoghi. Uno dei punti in comune è una molecola, il mioinositolo, che ha un’azione amiloidogenica, vale a dire che condiziona il deposito della proteina beta-amiloide, che caratterizza il cervello dei soggetti alzheimeriani. Grazie a metodi spettroscopici non invasivi, che sfruttano al risonanza magnetica per rilevare quali sostanze chimiche sono presenti nel cervello e in che quantità, la sostanza è stata rinvenuta nei casi di morbo di Alzheimer. E a dimostrazione delle basi genetiche della malattia, è stato isolato anche il gene coinvolto nel trasporto del mioinositolo, che si trova proprio sul cromosoma 21, quello presente il triplice copia nelle persone Down. Infatti, confrontando i livelli di mioinositolo in soggetti adulti, con sindrome di Down non ancora evoluta in demenza, con quelli di soggetti sani, si osservava un incremento significativo del 12% delle concentrazioni. E per quanto la demenza non fosse già in atto, si registravano difficoltà cognitive. Gli autori della ricerca non danno per scontato che in questi pazienti aumenti il rischio di sviluppare la demenza alzheimeriana, e infatti invocano ulteriori ricerche in merito. Servono anche studi orientati alla terapia, per determinare se la riduzione della concentrazione cerebrale del mioinositolo possa avere dei benefici sul deficit cognitivo.
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