Integrare? Solo se serve

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Integrare? Solo se serve



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Le scuole di pensiero sono da sempre due. Molti ricercatori (soprattutto americani) ritengono che sia fondamentale un'integrazione vitaminica e che le cosiddette RDA (le dosi giornaliere) siano del tutto insufficienti. Altri, invece, sostengono che non c'è nessun bisogno d'integrazione visto che le RDA sono corrette e che si possono raggiungere con una dieta equilibrata. Chi ha ragione? Stando alle ultime ricerche la seconda ipotesi avrebbe il sopravvento.

Attenzione alle megadosi


Ha cominciato la Food Standard Agency inglese che ha suonato il primo campanello d'allarme contro le vitamine in pillole che, prese in grandi quantità e per periodi prolungati, possono provocare il cancro, danneggiare il fegato e portare alla depressione. Si tratta di casi estremi, naturalmente, ma quello che è certo è che un eventuale sovradosaggio creerebbe problemi, soprattutto in soggetti a rischio. Alcuni esempi rendono l'idea. Iperdosaggi di vitamina A provocano effetti negativi sul sistema nervoso, di vitamina D sui reni e di vitamina E sulla vista e sul controllo della glicemia. Ma non è finita qui. La vitamina C può favorire gli attacchi di gotta, aumentando l'acido urico nel sangue, o, in soggetti con carenza di ferro, può distruggere la vitamina B12. Un eccesso di vitamina B6 può provocare patologie epatiche o danni nervosi, mentre un eccesso di vitamina B2 può creare disturbi visivi e un eccesso di vitamina B3 impedisce l'impiego di acidi grassi da parte del miocardio durante gli sforzi. Problemi evidentemente innescati da megadosi, ma perché integrare se la dieta fornisce il giusto contributo di vitamine? Un integratore contenente 100 mg di vitamina C, del resto, ne contiene esattamente quanto una grossa arancia. Perciò? Da non trascurare è il ruolo del mercato, considerato che in Gran Bretagna, questa industria fattura l'equivalente di oltre 450 milioni di euro all'anno. Ma la conclusione dell'istituto inglese è chiara: solo in caso di una reale carenza è utile e vantaggioso assumere vitamine sotto forma di integratori, in caso contrario è inutile e talvolta dannoso. Con un'unica eccezione la vitamina E, l'unica per cui si poteva parlare d'integrazione in virtù dei suoi effetti antiossidanti. Si poteva, però.

Miti abbattuti


Quando ormai sembrava che fossero accettate universalmente, le proprietà anticancro delle vitamine sono state, infatti, rimesse in discussione già qualche anno fa da uno studio condotto dall'Istituto Nazionale di Salute Pubblica di Helsinki (Finlandia) e dal National Cancer Institute di Bethesda (USA). La ricerca si proponeva di verificare gli effetti della vitamina E e del beta carotene (il precursore della vitamina A) ai fini della prevenzione del cancro al polmone nei fumatori, ma ha avuto risultati inaspettati: i casi di tumore non diminuivano significativamente e addirittura aumentavano del 18 per cento tra coloro che ogni giorno venivano trattati con il beta carotene. Il lavoro svolto dagli studiosi è stato notevole: infatti hanno arruolato un campione di oltre 29.000 cittadini finlandesi adepti della sigaretta di età compresa tra 50 e 69 anni. I soggetti sono poi stati divisi in quattro gruppi, cui sono stati somministrati rispettivamente supplementi di sola vitamina E, di solo beta carotene o di vitamina E più beta carotene. All'ultimo gruppo, infine, veniva somministrato placebo, cioè un farmaco finto. Questa terapia, durata da 5 a 8 anni, ha però fornito gli esiti deludenti di cui si diceva, e sembra mettere in crisi un modello di prevenzione da anni sostenuto dai nutrizionisti e poi accettato anche da parti sempre più consistenti della classe medica. Un ulteriore spallata al ruolo degli integratori a base di vitamina E, poi, è arrivata da un recentissimo studio di Lancet.

Lo studio di Lancet

La metanalisi ha considerato 7 studi dedicati al beta-carotene e 8 alla vitamina E. In totale i pazienti trattati con i primi sono stati 81788, quelli che hanno assunto vitamina E, 138113. Di fatto, la metanalisi ha dato un risultato abbastanza chiaro. Per quanto riguarda la vitamina E, il suo impiego non ha modificato la mortalità per tutte le cause: c'era semmai un leggero svantaggio per i pazienti trattati (11,3% contro 11,1%) che però non raggiunge la significatività statistica. Non va meglio per la mortalità per tutte le cause cardiovascolari, visto che tra braccio attivo e controllo non c'erano differenze significative, in entrambi i casi il dato era pari al 6%. La sostanziale parità si proponeva sia nella frequenza di insulti cerebrovascolari (l'ictus), indagata in soli quattro studi, sia combinando mortalità cardiovascolare e infarti acuti non fatali. Non è riuscito a mutare il quadro nemmeno il riesame dei dati distinguendo tra prevenzione primaria e secondaria (cioè prevenzione degli altri eventi dopo che si è verificato il primo infarto). Ancora peggiori i risultati degli studi o dei bracci di studio in cui si testava l'efficacia del beta-carotene. In questo caso, la mortalità per tutte le cause risultava addirittura peggiore con l'antiossidante; infatti raggiungeva il 7,4% nel gruppo del betacarotene contro il 7% del gruppo di controllo ( p = 0,003). L'analisi dei dati relativi ai sei trial che avevano come end-point la mortalità cardiovascolare ha confermato la tendenza: 3,4% a fronte del 3,1%. I tre studi che avevano indagato anche l'incidenza di eventi cerebrovascolari non ha mostrato peggioramenti nel gruppo che assumeva beta-carotene, ma nemmeno miglioramenti. Di qui la preoccupazione per gli alti dosaggi di beta-carotene presenti negli integratori in libera vendita e per i dosaggi, comunque consistenti, rientranti nelle preparazioni multivitaminiche di cui si è raccomandato l'uso per tanto tempo. Ma perché questi risultati?

Una debacle attesa

Il perché della debacle degli antiossidanti può trovare spiegazioni in altri studi. Per esempio, si è provato che il fumo ha un effetto destabilizzante del beta-carotene, con la conseguenza di un'attivazione dei fattori di crescita legati allo sviluppo dei tumori. Così come è provato l'effetto controproducente di questa sostanza sui lipidi ematici. C'è anche da tenere presente, quanto alla vitamina E, che non si è riusciti a dimostrare che riducesse proprio le reazioni di ossidazione del colesterolo LDL (quello cattivo) nemmeno nei pazienti che, grazie alla supplementazione, presentavano livelli ematici dell'antiossidante piuttosto consistenti. Addirittura, nello studio HATS (HDL-Atherosclerosis Treatment Study), la vitamina ha dimostrato di interagire sfavorevolmente con gli effetti ipolipemizzanti di due farmaci impiegati per ridurre il colesterolo: niacina e simvastatina.
E' possibile, conclude lo studio, che gli antiossidanti possano avere un'azione preventiva, in campo cardiovascolare, ma in un momento in cui la malattia aterosclerotica è ancora lontana dall'instaurarsi o al limite si è manifestata soltanto con la formazione di strie grasse sulla parte delle arterie (il che equivalle alla primissima fase dell'aterosclerosi). Ma anche così non ci sono prove a sostegno dell'impiego di queste sostanze nella prevenzione. Del resto- come ha dichiarato in una recente intervista Lucio Caprino, farmacologo dell'Università La Sapienza di Roma, non è stato dimostrato neanche che la vitamina C sia realmente efficace contro il raffreddore!

Marco Malagutti



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