04 novembre 2002
Aggiornamenti e focus
Al via un onco-vaccino italiano
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E' cominciata in questi giorni la preparazione in fiale della sostanza che dovrebbe rappresentare il primo vaccino al mondo in grado di prevenire il tumore. La notizia, tutta italiana, è stata annunciata in conferenza stampa a Torino il 25 ottobre scorso a seguito dei primi risultati positivi degli studi del Centro Ricerche di Medicina Sperimentale (CeRMS). Il Centro Ricerche è il risultato di una sinergia tra l'Ospedale Molinette e l'Università di Torino, reso possibile grazie soprattutto alle donazioni della Compagnia di San Paolo, della Fondazione CRT e della Banca Intermobiliare.
Invece di uccidere, danno la vita: sono gli anticorpi monoclonali che, come "proiettili", riescono a raggiungere il cuore del tumore (o almeno di alcune forme di cancro), rilasciando sostanze in grado di uccidere il tumore stesso. Si tratta, in pratica, di un vaccino a DNA, che è ora in attesa di essere sperimentato in primavera sull'uomo. I risultati ottenuti sull'animale, infatti, sono stati eccellenti: una volta inoculato nei topi, il vaccino sembra proteggere gli animali geneticamente predisposti al carcinoma mammario. Le cavie erano topi le cui femmine inesorabilmente alla 33esima settimana di vita (tempo equivalente ai nostri 40-50 anni) sviluppano un tumore mortale della mammella. Vaccinando i topi quando ancora sono giovani e sani, o quando hanno solo una lesione pre-neoplastica, i ricercatori hanno visto che il tumore non riesce a svilupparsi.
Ora si sta per dare inizio alla fase più delicata: la sperimentazione sull'uomo. I volontari sono rappresentati da soggetti che hanno avuto il tumore di collo e cranio che rischiano la recidiva. L'idea di sperimentare il vaccino su questi pazienti nasce dal fatto che questo è un tumore molto aggressivo e quindi è più accettabile proporre una nuova possibilità preventiva. Naturalmente, però, il vaccino sarà provato solo dopo avere avuto tutte le autorizzazioni previste dalla legge.
In molti pazienti che sviluppano il tumore (almeno nel 30% dei casi) si è visto che è presente un difetto nel gene ErbB-2. Lo scopo dei ricercatori, quindi, è di mettere le cellule in condizione di produrre da sole la proteina che il DNA danneggiato non riesce a costruire. Una volta inoculato il vaccino nella cellula, una scossa elettrica gli permette di penetrare all'interno della membrana, di fissarsi al nucleo e quindi di agire. Ecco lo scopo dei cosiddetti anticorpi monoclonali "proiettili": dopo essere stati trattati in laboratorio con antiblastici, radiofarmaci e tossine vegetali, devono raggiungere il cuore del tumore e rilasciare lì i farmaci con i quali sono stati precedentemente trattati, senza però andare a intaccare le cellule sane. In realtà questa metodica è già utilizzata in numerosi Centri italiani e stranieri. Scopo del CeRMS è riuscire a realizzare proiettili sempre più piccoli, in grado di non farsi imprigionare nella rete formata da rene, milza, fegato e polmone, liberi di viaggiare attraverso i vasi sanguigni e di infiltrarsi, così, in tutti i tessuti.
L'idea è di sottoporre al vaccino il paziente con forme tumorali in sistemi chiusi (come cervello, ovaio e prostata), ma solo dopo aver eseguito tutto l'iter standardizzato di trattamento anti-tumorale (chirurgia, chemioterapia, radioterapia). "I risultati ci sono: un significativo aumento della sopravvivenza in pazienti con tumori del cervello e con tumori ovarici" afferma Fabio Malavasi, ordinario di Genetica Umana alla Facoltà di Medicina dell'Università di Torino e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Internazionale per la Ricerca in Medicina Sperimentale.
Annapaola Medina
Fonte
Centro Ricerche in Medicina Sperimentale - Fondazione Internazionale per la Ricerca in Medicina Sperimentale; Comunicato Stampa - 25 ottobre, Torino.
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...e inoltre su Dica33:
I "proiettili" che fanno bene
Invece di uccidere, danno la vita: sono gli anticorpi monoclonali che, come "proiettili", riescono a raggiungere il cuore del tumore (o almeno di alcune forme di cancro), rilasciando sostanze in grado di uccidere il tumore stesso. Si tratta, in pratica, di un vaccino a DNA, che è ora in attesa di essere sperimentato in primavera sull'uomo. I risultati ottenuti sull'animale, infatti, sono stati eccellenti: una volta inoculato nei topi, il vaccino sembra proteggere gli animali geneticamente predisposti al carcinoma mammario. Le cavie erano topi le cui femmine inesorabilmente alla 33esima settimana di vita (tempo equivalente ai nostri 40-50 anni) sviluppano un tumore mortale della mammella. Vaccinando i topi quando ancora sono giovani e sani, o quando hanno solo una lesione pre-neoplastica, i ricercatori hanno visto che il tumore non riesce a svilupparsi.
Ora si sta per dare inizio alla fase più delicata: la sperimentazione sull'uomo. I volontari sono rappresentati da soggetti che hanno avuto il tumore di collo e cranio che rischiano la recidiva. L'idea di sperimentare il vaccino su questi pazienti nasce dal fatto che questo è un tumore molto aggressivo e quindi è più accettabile proporre una nuova possibilità preventiva. Naturalmente, però, il vaccino sarà provato solo dopo avere avuto tutte le autorizzazioni previste dalla legge.
Come agisce il vaccino
In molti pazienti che sviluppano il tumore (almeno nel 30% dei casi) si è visto che è presente un difetto nel gene ErbB-2. Lo scopo dei ricercatori, quindi, è di mettere le cellule in condizione di produrre da sole la proteina che il DNA danneggiato non riesce a costruire. Una volta inoculato il vaccino nella cellula, una scossa elettrica gli permette di penetrare all'interno della membrana, di fissarsi al nucleo e quindi di agire. Ecco lo scopo dei cosiddetti anticorpi monoclonali "proiettili": dopo essere stati trattati in laboratorio con antiblastici, radiofarmaci e tossine vegetali, devono raggiungere il cuore del tumore e rilasciare lì i farmaci con i quali sono stati precedentemente trattati, senza però andare a intaccare le cellule sane. In realtà questa metodica è già utilizzata in numerosi Centri italiani e stranieri. Scopo del CeRMS è riuscire a realizzare proiettili sempre più piccoli, in grado di non farsi imprigionare nella rete formata da rene, milza, fegato e polmone, liberi di viaggiare attraverso i vasi sanguigni e di infiltrarsi, così, in tutti i tessuti.
L'idea è di sottoporre al vaccino il paziente con forme tumorali in sistemi chiusi (come cervello, ovaio e prostata), ma solo dopo aver eseguito tutto l'iter standardizzato di trattamento anti-tumorale (chirurgia, chemioterapia, radioterapia). "I risultati ci sono: un significativo aumento della sopravvivenza in pazienti con tumori del cervello e con tumori ovarici" afferma Fabio Malavasi, ordinario di Genetica Umana alla Facoltà di Medicina dell'Università di Torino e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Internazionale per la Ricerca in Medicina Sperimentale.
Annapaola Medina
Fonte
Centro Ricerche in Medicina Sperimentale - Fondazione Internazionale per la Ricerca in Medicina Sperimentale; Comunicato Stampa - 25 ottobre, Torino.
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