Immunità potenziata

06 dicembre 2006
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Immunità potenziata



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Per alcuni tumori si può parlare di vera e propria guarigione, grazie anche alla diagnosi precoce e alle terapie sempre più mirate ed efficaci. Per altri il meglio che si può fare è far riferimento ad anni di sopravvivenza dal momento della diagnosi, o perché questa è tardiva o perché la neoplasia è particolarmente aggressiva.
Il tumore del colon-retto rientra nei casi in cui il migliore dei risultati è una sopravvivenza a cinque anni e la ricerca si sta orientando per ora al miglioramento di questo risultato.
Una via sembra quella indicata e seguita dall'equipe di oncologi dell'Istituto Nazionale dei Tumori che recentemente ha presentato dati incoraggianti sull'uso di un vaccino. La definizione, però, non deve confondere o trarre in inganno, non si parla di un farmaco capace di rendere tutta la popolazione immune alla neoplasia. Si tratta di una strategia che è stata sperimentata, su pazienti già malati e in condizioni molto particolari.

Potenziare i linfociti

I ricercatori hanno ripreso delle evidenze scientifiche precedentemente dimostrate in cui era documentato un possibile ruolo del sistema immunitario nel ridurre la progressione dei tumori del colon-retto. Era stato osservato che pazienti operati, con identiche caratteristiche, andavano incontro a recidive locali con probabilità diverse e ciò rifletteva una diversa attività del loro sistema immunitario: quelli in cui l'attività linfocitaria era presente recidivavano solo nel 2% dei casi, contro il 16% degli altri. Inoltre i linfociti rintracciati nel sangue di questi soggetti, erano capaci di riconoscere e distruggere, in vitro, le cellule tumorali che presentavano particolari antigeni.
Era evidente che la presenza di linfociti all'interno di un tumore primario, chirurgicamente asportato era un fattore di prognosi positivo. Quindi intervenire per stimolare il sistema immunitario contro il tumore è sembrata una strategia possibile e di successo. E i primi risultati sono arrivati.

Proteine provocatorie

La terapia sperimentale è stata testata (fase I di sperimentazione) su un piccolo gruppo di pazienti. I nove soggetti selezionati si erano sottoposti precedentemente almeno a due interventi chirurgici, a diverse terapie chemioterapiche e radioterapiche senza ottenere nessun successo. Il farmaco è stato somministrato per sei mesi, una volta alla settimana per il primo mese; poi una volta ogni due settimane e infine una volta al mese, fino al sesto mese per un totale di nove somministrazioni. I pazienti hanno così assunto due proteine che generalmente compaiono sulla superficie delle cellule tumorali, cioè due antigeni, la CEA e la Survivina. Si tratta di due antigeni del tumore del colon-retto, il primo è conosciuto da tempo ed è usato come marcatore per monitorare la malattia, l'altro è stato individuato di recente, è abbondantemente presente in questo tipo di cellule e ne garantisce la sopravvivenza. E' stato dimostrato che i linfociti isolati nel sistema immunitario dei pazienti con prognosi migliore erano in grado di riconoscere la survivina e di distruggere le cellule che la presentavano. Quindi il sistema immunitario è potenzialmente capace di produrre linfociti e anticorpi specifici contro i due antigeni e quindi contro le cellule tumorali. I risultati sembrano confermare questa ipotesi, anche se ancora non si può parlare di efficacia, in quanto una sperimentazione su nove pazienti non può fornire questo tipo di informazione. Per ora nei cinque soggetti che hanno completato il ciclo di terapia il tumore non si è evoluto, è come se avesse bloccato la sua crescita, e il livello di CEA si è abbassato drasticamente. In due casi è stata valutata anche una risposta immunitaria specifica. Il bollettino medico parla di pazienti che stanno abbastanza bene, considerando che erano già in una fase avanzata della terapia, il che è sufficiente a dire che la terapia è sicura e ben tollerata e assicura una buona qualità della vita, che non è altro che l'obiettivo di uno studio di fase I. Questi risultati legittimano il proseguimento dell'iter sperimentale che entra nelle fase II per testare dosi più alte.
Nel 60% dei casi il tumore del colon-retto arriva alla terapia già in fase avanzata (stadio III) e la chemioterapia e la radioterapia non sono efficaci per ridurre le dimensioni della lesione prima dell'intervento chirurgico, nel 30-40% dei casi. Avere a disposizione un farmaco che blocca e evita recidive e metastasi permetterebbe di prolungare la vita di questi pazienti tenendo sotto controllo la malattia, in attesa che si trovi il modo di guarirla.

Simona Zazzetta

Fonti
  • Istituto Nazionele dei Tumori
  • Ansa
  • Adnkronos Salute



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