03 febbraio 2006
Aggiornamenti e focus
Troppi equivoci sui reumatismi
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Si dice malattie reumatiche e si pensa all'artrite reumatoide e basta, mentre invece le malattie reumatiche sono più di una trentina. Se si parla di artrite, poi, ci si focalizza sulle articolazioni, mentre invece è ormai provato un forte coinvolgimento dell'osso, anche con fenomeni osteoporotici non indifferenti. Insomma, una certa confusione nel pubblico c'è e anche tra i medici, specialisti a parte, le conoscenze non sono sempre aggiornatissime, come è inevitabile in una certa misura. Al nuovo modo di considerare le malattie reumatiche e l'artrite in particolare è stato dedicata la II conferenza internazionale "New Perspectives: bone involvement in arthritis" svoltasi pochi giorni fa a Venezia, le cui conclusioni sono state illustrate a in una conferenza stampa milanese da Gerolamo Bianchi, presidente del Collegio dei Reumatologi Ospedalieri Italiani e da Luigi Sinigaglia, direttore dell'Unità Operativa Complessa di Reumatologia dell'Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano.
Entrambi hanno sottolineato che la diagnosi è ancora troppo tardiva: di solito si giunge allo specialista reumatologo dopo due anni che il disturbo è in atto, se si tratta di artrite reumatoide, ma con ritardi anche molto maggiori, fino a 10 anni, per malattie come l'artrite psoriasica o la spondilite anchilosante. Perché oggi è ancora più importante questo aspetto? Perché, ha detto il dottor Sinigaglia "oggi il reumatologo dispone di terapie che permettono di puntare non tanto alla riduzione dei sintomi o al rallentamento della progressione della malattia ma proprio alla remissione". Remissione non significa guarigione in senso stretto, ma significa far sì che la malattia non sia più attiva per periodi sempre più lunghi. "Oggi non ha più senso che il paziente che accusa dolori articolari pensi che non ci sia nulla da fare e che i dolori li hanno più o meno tutti" ha sintetizzato Gerolamo Bianchi.Protagonisti di questa rivoluzione sono i cosiddetti farmaci biologici, quelli il cui nome finisce in mab, che a sua volta sta per Monoclonal anti body, cioè anticorpo monoclonale. Si tratta di sostanze che, come gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario, si legano a certe specifiche sostanze. Nel caso di questi farmaci antireumatici, l'anticorpo si lega ai mediatori dell'infiammazione e, per intendersi, spegne l'interruttore della reazione infiammatoria in un punto più a monte rispetto ai farmaci usati finora. "Certamente - ha detto il dottor Biondi "questi farmaci non sono indicati a tutti i malati di artrite reumatoide, in quanto non in tutti i casi si rivelano efficaci". In collegamento da Siena, il professor Stefano Bombardieri, presidente della Società Italiana di Reumatologia ha precisato che l'indicazione riguarda dal 15 al 30% dei pazienti artritici. "Per alcuni, in particolare per l'infliximab, il primo a essere introdotto" ha spiegato Bianchi "esistono prove adeguate di sicurezza ed efficacia". Sempre che ovviamente siano prescritti in modo mirato. "Così facendo" ha aggiunto Bombardieri "il problema del costo più elevato di queste sostanze viene a esser compensato se si pensa ai costi indiretti e diretti che comporta un paziente con difficoltà di mobilità, con periodi anche prolungati di inabilità al lavoro, con bisogni assistenziali forti".
Ma come capire chi si potrà giovare dei farmaci biologici e chi no? Un tempo la terapia dell'artrite reumatoide procedeva per tentativi ed errori: si cominciava con un farmaco di fondo, se non funzionava si passava a un altro e così via. "Oggi la situazione è cambiata" ha chiarito Sinigaglia. "Esistono degli indicatori che permettono di stabilire con buona approssimazione i casi più sfavorevoli per i quali si può pensare di iniziare con il farmaco biologico. Non un solo indicatore, si badi, ma una serie di elementi. Per esempio un livello elevato di fattore reumatoide e dei parametri dell'infiammazione (la VES, la proteina C reattiva), la presenza di particolari anticorpi (anticorpi anti-citrullina)". Insomma si può procedere più rapidamente all'individuazione della terapia adeguata". E questo è importante, perché prima comincia la terapia adeguata, prima si arresta il danno articolare (e osseo). Indurre la remissione dell'artrite, si ricordi, non è solo vivere meglio, ma anche più a lungo. In media, il paziente reumatico non curato vede ridursi di 5-6 anni la sopravvivenza rispetto alla popolazione generale.
Maurizio Imperiali
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La rassegnazione è fuori luogo
Entrambi hanno sottolineato che la diagnosi è ancora troppo tardiva: di solito si giunge allo specialista reumatologo dopo due anni che il disturbo è in atto, se si tratta di artrite reumatoide, ma con ritardi anche molto maggiori, fino a 10 anni, per malattie come l'artrite psoriasica o la spondilite anchilosante. Perché oggi è ancora più importante questo aspetto? Perché, ha detto il dottor Sinigaglia "oggi il reumatologo dispone di terapie che permettono di puntare non tanto alla riduzione dei sintomi o al rallentamento della progressione della malattia ma proprio alla remissione". Remissione non significa guarigione in senso stretto, ma significa far sì che la malattia non sia più attiva per periodi sempre più lunghi. "Oggi non ha più senso che il paziente che accusa dolori articolari pensi che non ci sia nulla da fare e che i dolori li hanno più o meno tutti" ha sintetizzato Gerolamo Bianchi.Protagonisti di questa rivoluzione sono i cosiddetti farmaci biologici, quelli il cui nome finisce in mab, che a sua volta sta per Monoclonal anti body, cioè anticorpo monoclonale. Si tratta di sostanze che, come gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario, si legano a certe specifiche sostanze. Nel caso di questi farmaci antireumatici, l'anticorpo si lega ai mediatori dell'infiammazione e, per intendersi, spegne l'interruttore della reazione infiammatoria in un punto più a monte rispetto ai farmaci usati finora. "Certamente - ha detto il dottor Biondi "questi farmaci non sono indicati a tutti i malati di artrite reumatoide, in quanto non in tutti i casi si rivelano efficaci". In collegamento da Siena, il professor Stefano Bombardieri, presidente della Società Italiana di Reumatologia ha precisato che l'indicazione riguarda dal 15 al 30% dei pazienti artritici. "Per alcuni, in particolare per l'infliximab, il primo a essere introdotto" ha spiegato Bianchi "esistono prove adeguate di sicurezza ed efficacia". Sempre che ovviamente siano prescritti in modo mirato. "Così facendo" ha aggiunto Bombardieri "il problema del costo più elevato di queste sostanze viene a esser compensato se si pensa ai costi indiretti e diretti che comporta un paziente con difficoltà di mobilità, con periodi anche prolungati di inabilità al lavoro, con bisogni assistenziali forti".
A ciascuno il suo farmaco
Ma come capire chi si potrà giovare dei farmaci biologici e chi no? Un tempo la terapia dell'artrite reumatoide procedeva per tentativi ed errori: si cominciava con un farmaco di fondo, se non funzionava si passava a un altro e così via. "Oggi la situazione è cambiata" ha chiarito Sinigaglia. "Esistono degli indicatori che permettono di stabilire con buona approssimazione i casi più sfavorevoli per i quali si può pensare di iniziare con il farmaco biologico. Non un solo indicatore, si badi, ma una serie di elementi. Per esempio un livello elevato di fattore reumatoide e dei parametri dell'infiammazione (la VES, la proteina C reattiva), la presenza di particolari anticorpi (anticorpi anti-citrullina)". Insomma si può procedere più rapidamente all'individuazione della terapia adeguata". E questo è importante, perché prima comincia la terapia adeguata, prima si arresta il danno articolare (e osseo). Indurre la remissione dell'artrite, si ricordi, non è solo vivere meglio, ma anche più a lungo. In media, il paziente reumatico non curato vede ridursi di 5-6 anni la sopravvivenza rispetto alla popolazione generale.
Maurizio Imperiali
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