Il silenzio dell'anima

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Il silenzio dell'anima



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La parola autismo richiama mutismo, isolamento, indifferenza nei confronti dell'ambiente esterno, ma anche un noto film in cui il protagonista era dotato di alcune capacità intellettuali in maniera superiore alla norma. Ma questa descrizione risulta alla fine imprecisa e superficiale.

Che cos'è


La medicina classifica la sindrome autistica all'interno dei Disturbi pervasivi dello sviluppo, a significare l'insorgenza in età neonatale con compromissione della normale crescita intellettuale ed emotiva, ma non di quella fisica. Grossolanamente si può dire che i bambini autistici fisicamente sono sani e si sviluppano come i loro coetanei, ma sono affetti da gravi anomalie nella comunicazione e da un certo ritardo mentale. Il ritardo mentale, di entità variabile, è presente nel 75% dei casi e tuttavia non è sufficiente, da solo, a spiegare tutti i sintomi della malattia. Sia nei soggetti ritardati che nei soggetti con normale intelligenza, infatti, il profilo delle prestazioni è spesso molto disomogeneo, con aree di grande abilità, come memoria, calcolo, competenze spaziali, e aree profondamente compromesse.
L'autismo può essere primario, oppure secondario quando si manifesta in conseguenza di anomalie genetiche (fenilchetonuria, sclerosi tuberosa), cromosomiche (X-fragile), malattie infettive (rosolia, citomegalovirus) o traumi che colpiscono precocemente il SNC. In ogni caso la malattia altera lo sviluppo psicologico e comportamentale, con esiti che durano generalmente per tutta la vita; i maschi ne sono colpiti 3-4 volte più delle femmine e la prevalenza nella popolazione generale è di circa lo 0,1%. Nel corso della vita il 25-30% dei pazienti autistici presenta crisi epilettiche, i periodi di più frequente insorgenza sono i primi anni di vita o l'adolescenza.

I sintomi


Nei bambini autistici sono compromesse l'interazione sociale, la comunicazione verbale e quella non verbale, ovvero la mimica dei gesti con cui il bambino si esprime prima di iniziare a parlare. Il comportamento, gli interessi e le attività sono ristretti, ripetitivi e stereotipati. Il linguaggio, quando è presente (circa il 50% dei casi) è ripetitivo (ecolalico), è caratterizzato dall'uso scorretto della prima e della seconda persona, viene usato in forma non adeguata a comunicare, per esempio con frasi senza significato o fuori del contesto. La carenza dell'immaginazione e dell'imitazione non consentono il normale gioco infantile, che viene sostituito da movimenti stereotipati privi di senso. Questi bambini sono ostacolati nello sviluppo delle relazioni sociali, della comunicazione e dei meccanismi emozionali, sembrano perciò assenti ma possono essere ipersensibili a particolari stimoli. Sin dai primi mesi, infatti, possono mostrare fastidio, e di conseguenza ansia e nervosismo, per un odore, un suono, il contatto fisico da cui si ritraggono. La loro incapacità a comunicare è particolarmente evidente, e dolorosa, in quanto non rispondono alla voce dei genitori, sfuggono lo sguardo e non riescono a esprimere le emozioni che ci si aspetterebbe da loro. Tutto questo non nasce da una precisa volontà di isolamento ma dalla loro percezione del mondo esterno che è distorta o carente.
I sintomi hanno un esordio precoce, prima dei tre anni di età, e perdurano nel corso della vita intera, pur con le modificazioni che il progredire dell'età solitamente comporta. Certi segni possono essere riscontrabili fin dalla nascita o comparire successivamente, in quest'ultimo caso il bambino spesso perde le competenze gestuali e linguistiche che aveva già acquisito.

Le cause

L'autismo non ha una singola causa ma nasce da un insieme di fattori: genetici, organici e biochimici, che interferiscono creando una frattura nello sviluppo cerebrale normale, in una fase precoce della vita fetale. La componente genetica sembra responsabile solo di una maggiore vulnerabilità a sviluppare la malattia. Gli studi di brain imaging hanno evidenziato anomalie in diverse strutture cerebrali, in particolare nel cervelletto, nell'amigdala, nell'ippocampo, nel setto e nei corpi mammillari. La ricerca neurochimica suggerisce che vi siano delle alterazioni nel metabolismo della serotonina e di altri neurotrasmettitori. Il significato di tutte queste osservazioni e, soprattutto, il ruolo che ciascuna occupa nella patogenesi resta ancora da chiarire, anche perché troppo poco si conosce del funzionamento del cervello. Il puzzle, insomma, non ci dà ancora un'immagine precisa, ma di certo si è sfatata una delle prime ipotesi: i genitori,con il loro comportamento, non sono in alcun modo responsabili della malattia dei loro figli.

Elisa Lucchesini



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