Non si guarisce, però...

29 settembre 2006
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Non si guarisce, però...



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Ancora oggi la maggior parte dei bambini autistici divengono adulti non autosufficienti e continuano ad aver bisogno di cure per tutta la vita. Una situazione complessa, come complessa è la cura del soggetto autistico, che prevede sostegno, centri specialistici e professionisti formati ad hoc. Ma una situazione da non sottovalutare: gli ultimi studi epidemiologici suggeriscono una prevalenza del disturbo autistico fino a 6/1000 con un tasso di 1/500 se si considerano i disturbi dello spettro autistico. Circa l'80% delle persone con autismo presenta inoltre una condizione di ritardo mentale e il 50% non sviluppa alcuna forma di linguaggio. In più, è frequente che nei bambini autistici siano presenti altri disturbi non specifici quali fobie, disturbi del sonno, dell'alimentazione, iperattività, aggressività auto ed eterodiretta. Spesso sono presenti patologie associate, tra le quali la più frequente è l'epilessia. In un simile quadro generale, la formulazione di una diagnosi tempestiva e un intervento precoce e adeguato sono sempre più importanti. Per la medicina ufficiale, però, è necessario ricordarlo, dall'autismo non si guarisce. E le terapie riconosciute sono quelle che senza promettere miracoli, mirano alla risocializzazione a partire dalla casa e dalla scuola. E' questo lo scopo dei metodi di cura più accreditati: il Teach e l'Aba. A questi se ne potrebbe aggiungere un terzo, il modello DIR, attualmente in corso di sperimentazione a Varese. E proprio la città prealpina ha ospitato una conferenza internazionale sul tema. Ma che cos'è il modello DIR?

Il modello DIR


Il modello DIR, proposto da Stanley Greenspan e Serena Wieder, è un trattamento che enfatizza l'importanza di identificare il livello di sviluppo funzionale ed emotivo raggiunto dal bambino, le differenze individuali nella modalità di processare le informazioni sensoriali e motorie e il tipo di relazioni e interazioni che il bambino stabilisce con i partner adulti. Il presupposto alla base dell'approccio è una diagnosi tempestiva, definita in stretta collaborazione tra neuopsichiatra infantile e pediatra di base. La sua importanza per la prognosi del disturbo è del resto attestata da numerosi studi scientifici. In più, gli studi sottolineano quanto sia importante individuare le aree di debolezza e quelle di forza del bambino per costruire un programma riabilitativo personalizzato. Il DIR sottolinea l'importanza di individuare il livello di sviluppo raggiunto (Development), le differenze individuali nella modalità di elaborazione delle informazioni sensoriali e motorie (Individual differences) e il tipo di relazione che il bambino stabilisce con i partner adulti (Relationship). La lezione emotiva, dicono i fautori del modello, precede quella cognitiva. In questo modo i disturbi comportamentali e i comportamenti stereotipati tenderanno a diminuire, mentre aumenterà l'organizzazione del comportamento e la capacità di adattamento. Il punto chiave è l'interazione, ed è per questo che i partner adulti, a cominciare dai genitori, rivestono un ruolo fondamentale. E i risultati?

Risposte incoraggianti


I due ricercatori, Greenspan e Wieder, hanno condotto uno studio a lungo termine comprendente una casistica di 200 bambini affetti da disturbi inclusi nell'ambito dello spettro autistico. Con buoni risultati. Dopo un tempo minimo di due anni di trattamento, col modello DIR è stato possibile rilevare globalmente un ottimo risultato nel 58% dei bambini, un esito medio nel 25% e un esito negativo solo nel 17%. Un ulteriore fase dello studio dedicata ai 20 soggetti che avevano mostrato ottimi risultati ha evidenziato un'evoluzione positiva per quanto concerne le abilità affettive, sociali e cognitive. I bambini alla fine del trattamento sono diventati creativi e capaci di comunicare spontaneamente. E nel tempo le loro abilità sono migliorate ulteriormente. In ambito sensoriale, invece, sono rimaste alcune difficoltà. Risultati incoraggianti, che meritano ulteriori approfondimenti. L'auspicio, come sottolineano gli stessi ricercatori, è che il metodo possa contribuire ad arricchire il settore della ricerca e dell'attività clinica. In un campo, quello dell'autismo, in cui è assolutamente necessario.

Marco Malagutti



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