14 febbraio 2007
Aggiornamenti e focus
Sindromi reversibili?
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E' una patologia poco diffusa, visto che colpisce una bambina ogni 10000 nate ed è rarissima nei maschi, ma resta quella più debilitante tra le malattie della famiglia dell'autismo. E' la sindrome di Rett contro la quale ora sembrano arrivare nuove speranze dalla terapia genica. Ad annunciarlo uno studio pubblicato su Science Express e condotto da un gruppo di ricerca scozzese, che avrebbe dimostrato, per ora su topi geneticamente modificati, la reversibilità di alcuni tra i più gravi sintomi della patologia. Ma che tipo di malattia è?
La sindrome di Rett è una malattia genetica che interessa prevalentemente le femmine e si ritrova con particolare frequenza (10%) tra le ragazze di età inferiore ai 14 anni affette da ritardo mentale profondo. Non tutte le bambine affette dalla sindrome presentano il quadro completo della malattia per cui, accanto alle forme classiche, sono state descritte varianti con sintomatologia attenuata, anticipata o differita, oppure con assenza di uno o più sintomi tipici. La malattia è particolarmente grave e i suoi primi sintomi lo confermano. Si manifesta, infatti, nelle bambine dai 6 ai 18 mesi di vita, con una rapida regressione che porta alla perdita di quasi tutte le abilità acquisite: arresto dello sviluppo psicomotorio, perdita del linguaggio e delle abilità manuali, perdita di interesse per le persone e l'ambiente. Altri sintomi vanno dalle stereotipie delle mani all'epilessia, dal bruxismo a tremori simili al morbo di Parkinson. Tra le cause quella genetica è una delle più gettonate. Si spiegano così i molti studi in materia, tra cui quello pubblicato su Science. Recentemente sono state identificate mutazioni del gene MECP2, localizzato sulla parte distale del cromosoma X. Nei casi familiari, considerando l'interessamento quasi esclusivo del sesso femminile e la letalità precoce nei maschi, resta valida l'ipotesi di una malattia a modalità di trasmissione dominante legata al cromosoma X. L'alterazione del gene MECP2 è stata identificata in circa l'80% delle femmine con diagnosi clinica, pertanto la diagnosi genetica è molto affidabile. Il gene in questione svolge evidentemente un ruolo centrale e su questo si è soffermato anche lo studio scozzese.
Lo studio, reso possibile grazie al contributo della Rett Sindrome Research Foundation, con cui collabora l'associazione italiana Pro Rett Ricerca, ha dimostrato come la reintroduzione di una copia del gene MECP2 completamente funzionante, in topi, che per la mancanza dello stesso gene avevano i sintomi della sindrome di Rett, ne abbia eliminati alcuni. E questo è successo anche in animali che per la gravità della situazione erano a pochi giorni dalla morte. E una scoperta dalla portata straordinaria, visto che viene messa in discussione la convinzione che un danno al cervello di questa portata fosse irrimediabile. Una scoperta di cui potrebbero beneficiare altre malattie come l'autismo e la schizofrenia. L'auspicio, infatti, come spiega uno dei responsabili della ricerca è di rendere reversibili i danni neurologici nelle bambine e nelle ragazze con Sindrome di Rett, nei pazienti autistici e nei pazienti con disordini neuropsichiatrici correlati. Nello studio si è osservato inoltre che oltre ad aver corretto in modo evidente i difetti del comportamento, i topi hanno anche recuperato un'importante funzione elettrofisiologica del cervello denominata LTP, considerata come la misura neuronale dell'apprendimento e della memoria. Se al momento perciò non esiste una terapia specifica in grado di guarire le persone affette dalla Sindrome, ora potrebbe aprirsi una nuova era.
Marco Malagutti
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Che cos'è la sindrome di Rett
La sindrome di Rett è una malattia genetica che interessa prevalentemente le femmine e si ritrova con particolare frequenza (10%) tra le ragazze di età inferiore ai 14 anni affette da ritardo mentale profondo. Non tutte le bambine affette dalla sindrome presentano il quadro completo della malattia per cui, accanto alle forme classiche, sono state descritte varianti con sintomatologia attenuata, anticipata o differita, oppure con assenza di uno o più sintomi tipici. La malattia è particolarmente grave e i suoi primi sintomi lo confermano. Si manifesta, infatti, nelle bambine dai 6 ai 18 mesi di vita, con una rapida regressione che porta alla perdita di quasi tutte le abilità acquisite: arresto dello sviluppo psicomotorio, perdita del linguaggio e delle abilità manuali, perdita di interesse per le persone e l'ambiente. Altri sintomi vanno dalle stereotipie delle mani all'epilessia, dal bruxismo a tremori simili al morbo di Parkinson. Tra le cause quella genetica è una delle più gettonate. Si spiegano così i molti studi in materia, tra cui quello pubblicato su Science. Recentemente sono state identificate mutazioni del gene MECP2, localizzato sulla parte distale del cromosoma X. Nei casi familiari, considerando l'interessamento quasi esclusivo del sesso femminile e la letalità precoce nei maschi, resta valida l'ipotesi di una malattia a modalità di trasmissione dominante legata al cromosoma X. L'alterazione del gene MECP2 è stata identificata in circa l'80% delle femmine con diagnosi clinica, pertanto la diagnosi genetica è molto affidabile. Il gene in questione svolge evidentemente un ruolo centrale e su questo si è soffermato anche lo studio scozzese.
Lo studio scozzese
Lo studio, reso possibile grazie al contributo della Rett Sindrome Research Foundation, con cui collabora l'associazione italiana Pro Rett Ricerca, ha dimostrato come la reintroduzione di una copia del gene MECP2 completamente funzionante, in topi, che per la mancanza dello stesso gene avevano i sintomi della sindrome di Rett, ne abbia eliminati alcuni. E questo è successo anche in animali che per la gravità della situazione erano a pochi giorni dalla morte. E una scoperta dalla portata straordinaria, visto che viene messa in discussione la convinzione che un danno al cervello di questa portata fosse irrimediabile. Una scoperta di cui potrebbero beneficiare altre malattie come l'autismo e la schizofrenia. L'auspicio, infatti, come spiega uno dei responsabili della ricerca è di rendere reversibili i danni neurologici nelle bambine e nelle ragazze con Sindrome di Rett, nei pazienti autistici e nei pazienti con disordini neuropsichiatrici correlati. Nello studio si è osservato inoltre che oltre ad aver corretto in modo evidente i difetti del comportamento, i topi hanno anche recuperato un'importante funzione elettrofisiologica del cervello denominata LTP, considerata come la misura neuronale dell'apprendimento e della memoria. Se al momento perciò non esiste una terapia specifica in grado di guarire le persone affette dalla Sindrome, ora potrebbe aprirsi una nuova era.
Marco Malagutti
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