29 settembre 2006
Aggiornamenti e focus
Migliora la diagnosi, aumentano i casi
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L’incidenza dell’autismo è un fenomeno considerato in crescita. In Italia, secondo i più recenti dati Eurispes, sono autistici fra i 6 e i 10 bambini su 10mila. Un problema che se considerato all’interno dei disturbi psichiatrici in età evolutiva, indica che il 3% dei soggetti fra i 3 e i 18 anni che soffrono di problemi mentali, è affetto da autismo. Un fenomeno che incide pesantemente anche sui costi di assistenza. Un resoconto pubblicato nel 2001 in Gran Bretagna sottolinea come il costo sostenuto per individui autistici con ritardo mentale si aggira intorno ai 1337 euro l’anno; se, invece, le funzioni cognitive e intellettive sono nella norma, la cifra scende a 405 euro. E proprio dalla Gran Bretagna arriva uno studio secondo il quale il fenomeno è sottostimato. Il problema, dicono i ricercatori, è capire se si tratti di un effettivo aumento della prevalenza o se interferiscano altri aspetti come le modifiche ai criteri diagnostici, i differenti metodi di accertamento o la variazione nella valutazione di aspetti come l’area di provenienza del soggetto autistico nonché di parametri come l’età o il quoziente intellettivo.
I ricercatori per verificarlo hanno preso in considerazione un gruppo di quasi duemila bimbi con disturbi potenzialmente riconducibili all’autismo. Quindi li hanno sottoposti a test clinici per verificare la presenza effettiva della patologia e scoprire eventuali casi prima non identificati. Il risultato è stato superiore alle previsioni. La malattia colpisce, infatti, circa l’1% dei bambini britannici con una incidenza di 116 casi ogni 10 mila. Numeri che ribaltano la stima finora ritenuta attendibile nel paese, e comunque in crescita, di 44 casi su 10mila pazienti. Fino alla fine degli anni ’80 la prevalenza di autismo infantile era riportata nell’ordine dei 4-5 casi su 10mila. Poi, per primi, tre studi giapponesi avevano rialzato il tasso di incidenza passando a 13-15 casi su 10mila. Un trend cui si sono rapidamente adeguati anche europei e americani, senza che venissero riscontrate differenze etniche nella prevalenza. Ma i numeri riportati da Lancet da un campione di 56946 bambini di età compresa tra i 9 e i 10 anni e riguardanti l’ultimo decennio, sono decisamente più rilevanti. Come è possibile un simile risultato? Ci sono, spiega l’editoriale a supporto dello studio, due possibili spiegazioni. La prima, la più banale, prevede che effettivamente ci sia una crescita del fenomeno. Ma le cause restano misteriose. Si va dall’ipotesi genetica, mai meglio chiarita, a quella ambientale. Su questo punto sembrerebbe, peraltro, ormai definitivamente affondata l’ipotesi di un ruolo del vaccino trivalente, determinato dall’utilizzo di timerosal come agente conservante. L’altra spiegazione riguarderebbe i progressi fatti nell’accertamento della malattia per l’introduzione di criteri diagnostici universali. Questi criteri, che fanno capo al DSM-IV, hanno esteso e chiarificato il concetto di autismo e dei vari sottotipi di disturbi pervasivi dello sviluppo. Questi criteri aggiornati hanno aiutato i professionisti a diagnosticare i vari disturbi pervasivi dello sviluppo, favorendo lo stabilirsi di sistemi di individuazione della malattia sempre più fini. Quindi non sarebbero di più i casi quanto piuttosto maggiore la capacità di rilevarli. Si spiega così il sempre maggior numero di casi identificati in soggetti con un alto quoziente intellettivo. “L’autismo è più diffuso del previsto” ha spiegato l’autore della ricerca “è quindi necessario mettere in atto misure di rilevazione più precise ed elaborare piani per aiutare i piccoli malati e le loro famiglie”.
Marco Malagutti
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Lo studio di Lancet
I ricercatori per verificarlo hanno preso in considerazione un gruppo di quasi duemila bimbi con disturbi potenzialmente riconducibili all’autismo. Quindi li hanno sottoposti a test clinici per verificare la presenza effettiva della patologia e scoprire eventuali casi prima non identificati. Il risultato è stato superiore alle previsioni. La malattia colpisce, infatti, circa l’1% dei bambini britannici con una incidenza di 116 casi ogni 10 mila. Numeri che ribaltano la stima finora ritenuta attendibile nel paese, e comunque in crescita, di 44 casi su 10mila pazienti. Fino alla fine degli anni ’80 la prevalenza di autismo infantile era riportata nell’ordine dei 4-5 casi su 10mila. Poi, per primi, tre studi giapponesi avevano rialzato il tasso di incidenza passando a 13-15 casi su 10mila. Un trend cui si sono rapidamente adeguati anche europei e americani, senza che venissero riscontrate differenze etniche nella prevalenza. Ma i numeri riportati da Lancet da un campione di 56946 bambini di età compresa tra i 9 e i 10 anni e riguardanti l’ultimo decennio, sono decisamente più rilevanti. Come è possibile un simile risultato? Ci sono, spiega l’editoriale a supporto dello studio, due possibili spiegazioni. La prima, la più banale, prevede che effettivamente ci sia una crescita del fenomeno. Ma le cause restano misteriose. Si va dall’ipotesi genetica, mai meglio chiarita, a quella ambientale. Su questo punto sembrerebbe, peraltro, ormai definitivamente affondata l’ipotesi di un ruolo del vaccino trivalente, determinato dall’utilizzo di timerosal come agente conservante. L’altra spiegazione riguarderebbe i progressi fatti nell’accertamento della malattia per l’introduzione di criteri diagnostici universali. Questi criteri, che fanno capo al DSM-IV, hanno esteso e chiarificato il concetto di autismo e dei vari sottotipi di disturbi pervasivi dello sviluppo. Questi criteri aggiornati hanno aiutato i professionisti a diagnosticare i vari disturbi pervasivi dello sviluppo, favorendo lo stabilirsi di sistemi di individuazione della malattia sempre più fini. Quindi non sarebbero di più i casi quanto piuttosto maggiore la capacità di rilevarli. Si spiega così il sempre maggior numero di casi identificati in soggetti con un alto quoziente intellettivo. “L’autismo è più diffuso del previsto” ha spiegato l’autore della ricerca “è quindi necessario mettere in atto misure di rilevazione più precise ed elaborare piani per aiutare i piccoli malati e le loro famiglie”.
Marco Malagutti
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