25 maggio 2005
Aggiornamenti e focus
Il pericolo per la mente viene dall'esterno
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Vivere in una società a rischio è un titolo impegnativo per un congresso. Ma evidentemente le parole non fanno paura alla Società Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento e Terapia comportamentale e Cognitiva, in sigla AIAMC. Il rischio in questo caso, sono i forti elementi stressanti cui ci si trova esposti, specie in situazioni di crisi. E' chiaro che il tema del XII Congresso dell'AIAMC era la psicoterapia, sia pure questa forma particolare, e il suo ruolo nella tutela della salute mentale nella realtà odierna. Una tutela che significa affrontare, sempre più precocemente, le malattie mentali gravi, ma anche, come si vedrà, cercare di chiudere quei "buchi" che avverte anche chi "sta bene" e che dovrebbe essere felice, una parola grossa sulla quale però ha insisto lo psichiatra professor Gianfranco Goldwurm.
Le psicosi, schizofrenia e disturbi consimili, sono malattie sulle quali ha lungamente pesato un atteggiamento pessimista, come ha spiegato la dottoressa Anna Meneghelli, coordinatore del Programma 2000 sull'individuazione e il trattamento degli esordi e dei rischi psicotici dell'Ospedale Ca' Granda-Niguarda di Milano. A partire dai primi anni 2000, però, l'atteggiamento dei clinici è cambiato, e accanto al miglioramento delle terapie farmacologiche, si è andata delineando anche una diversa strategia di supporto psicoterapico. Questa richiede però, per sviluppare la massima efficacia, che le persone siano intercettate il più presto possibile. Come spiega Meneghelli, la psicosi non è un evento improvviso e privo di segnali. Già due o tre anni prima dell'esordio vero e proprio si possono osservare nel 70% dei futuri psicotici sintomi come ansia e depressione o perdita dell'attenzione, cui si accompagnano atteggiamenti come il ritiro sociale e il deterioramento del ruolo, soprattutto in ambito lavorativo. Altri elementi sono la perdita di sonno e di appetito, i disturbi della sfera sessuale. Accanto a chi è in questa fase prodromica, poi, vi sono i molti che hanno già avuto il primo episodio psicotico ma non sono stati diagnosticati. A questi sofferenti nel buio l'approccio precoce può offrire il modo di prevenire o ritardare il passaggio alla psicosi e, se già c'è stato l'esordio, di attenuare le manifestazioni e di preservare il funzionamento sociale del paziente, che è l'aspetto più vulnerabile eppure fondamentale per riuscire a mantenere vivo un progetto esistenziale. Insomma, per non perdere la persona. Il Programma 2000, esperienza unica in Italia finora, ha preso in carico 78 persone tra 16 e 30 anni, sia al primo episodio sia in fase precedente. Questi sono stati avviati a un trattamento personalizzato, con approccio individuale e di gruppo, dalla psicoterapia all'intervento sul contesto famigliare, al supporto per la gestione dell'ansia. Il tutto con un ruolo preminente della psicoterapia cognitiva-comportamentale, anche se all'occorrenza si ricorreva al farmaco. Il risultato? Dei 40 soggetti a rischio, nell'arco di 12 mesi, soltanto quattro sono evoluti in psicosi, 25 hanno migliorato il ruolo sociale, 15 hanno mantenuto il loro ruolo. Serve la psicoterapia? Non c'è da chiederselo...
Le sindromi maniaco depressive, in cui la depressione si alterna a periodi di euforia e iperattività (mania), è l'aspetto toccato dal professor Davide Dèttore, psicologo clinico dell'Università di Firenze, già presidente dell'AIAMC. In questo disturbo, l'aderenza alla terapia è fondamentale perché altrimenti la propensione al suicidio, in presenza di cure carenti, è più alta che nel paziente che si controlla: il 77% in più. Lo stress è il principale detonatore del primo episodio maniacale, poi la struttura cerebrale che attiva il comportamento sembra agire autonomamente. In questi casi la psicoterapia è fondamentale per diversi aspetti, per esempio migliorare l'aderenza alla terapia: il paziente bipolare spesso ritiene di stare bene quando è in fase maniacale, perché si sente più attivo e brillante, ragion per cui tende a ridurre i farmaci che stabilizzano l'umore, come il litio. Perché con il farmaco non prova più depressione, è vero, ma nemmeno esaltazione. La psicoterapia può invece cambiare questa prospettiva, e indurre a riconoscere il vero stato di benessere. E poi può fornire la chiave per gestire autonomamente gli eventi e le situazioni disturbanti, per fare i conti con i sintomi cognitivi e comportamentali del disturbo. Questo non significa sviluppare la dipendenza dal proprio terapeuta, un po' sullo stile del rapporto perverso tra Woody Allen e il suo analista. Anzi, lo scopo di questi trattamenti è che il paziente, poi, faccia da sé. Ferma restando l'esigenza di controlli periodici.
Felicità si va cercando
Gianfranco Goldwurm, che diresse e chiuse tre ospedali psichiatrici, e ora è direttore scientifico dell'ASIPSE di Milano, come anticipato, ha affrontato il tema della felicità, definendo anche la natura della psicologia positiva. Questa disciplina è di nascita recente, ma in realtà raggruppa sotto la sua denominazione una serie di esperienze e di teorie da tempo elaborate. Della felicità, del benessere psicologico si sono occupate da sempre la filosofia e la religione. Ma mentre un tempo si risolveva la felicità nella virtù (approssimazione a dio) e successivamente, con la nascita dello stato sociale, con la garanzia di beni e servizi, oggi questo non basta più. E di qui i buchi, i punti oscuri che si sperimentano in uno stato psicologico pur accettabile. Alcuni degli studi condotti hanno dimostrato che la popolazione più "felice" è quella svizzera, ma anche qui tra gli svizzeri i più felici sono coloro, per esempio, che vivono in cantoni dove si vota più spesso. "Questo significa che la possibilità di partecipare, di poter agire sul proprio ambiente, di potersi quindi realizzare è importante. Soprattutto in un'epoca come la nostra, dove persone felici, o che potrebbero esserlo individualmente, vivono in società infelici". A questi aspetti di insoddisfazione si rivolge la psicologia positiva, che è altro da quella che cura i disturbi veri e propri e cerca soprattutto di orientare al cambiamento del proprio pensiero quando questo possa essere d'ostacolo alla pienezza del benessere. Sembra un'utopia eppure potrebbe essere la giusta alternativa a vivere la vita sinteticamente perfetta delle fiction da quattro soldi. O al cercare rifugio negli psicofarmaci. Se ne riparlerà.
Maurizio Imperiali
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
La psicosi in agguato da 16 a 30 anni
Le psicosi, schizofrenia e disturbi consimili, sono malattie sulle quali ha lungamente pesato un atteggiamento pessimista, come ha spiegato la dottoressa Anna Meneghelli, coordinatore del Programma 2000 sull'individuazione e il trattamento degli esordi e dei rischi psicotici dell'Ospedale Ca' Granda-Niguarda di Milano. A partire dai primi anni 2000, però, l'atteggiamento dei clinici è cambiato, e accanto al miglioramento delle terapie farmacologiche, si è andata delineando anche una diversa strategia di supporto psicoterapico. Questa richiede però, per sviluppare la massima efficacia, che le persone siano intercettate il più presto possibile. Come spiega Meneghelli, la psicosi non è un evento improvviso e privo di segnali. Già due o tre anni prima dell'esordio vero e proprio si possono osservare nel 70% dei futuri psicotici sintomi come ansia e depressione o perdita dell'attenzione, cui si accompagnano atteggiamenti come il ritiro sociale e il deterioramento del ruolo, soprattutto in ambito lavorativo. Altri elementi sono la perdita di sonno e di appetito, i disturbi della sfera sessuale. Accanto a chi è in questa fase prodromica, poi, vi sono i molti che hanno già avuto il primo episodio psicotico ma non sono stati diagnosticati. A questi sofferenti nel buio l'approccio precoce può offrire il modo di prevenire o ritardare il passaggio alla psicosi e, se già c'è stato l'esordio, di attenuare le manifestazioni e di preservare il funzionamento sociale del paziente, che è l'aspetto più vulnerabile eppure fondamentale per riuscire a mantenere vivo un progetto esistenziale. Insomma, per non perdere la persona. Il Programma 2000, esperienza unica in Italia finora, ha preso in carico 78 persone tra 16 e 30 anni, sia al primo episodio sia in fase precedente. Questi sono stati avviati a un trattamento personalizzato, con approccio individuale e di gruppo, dalla psicoterapia all'intervento sul contesto famigliare, al supporto per la gestione dell'ansia. Il tutto con un ruolo preminente della psicoterapia cognitiva-comportamentale, anche se all'occorrenza si ricorreva al farmaco. Il risultato? Dei 40 soggetti a rischio, nell'arco di 12 mesi, soltanto quattro sono evoluti in psicosi, 25 hanno migliorato il ruolo sociale, 15 hanno mantenuto il loro ruolo. Serve la psicoterapia? Non c'è da chiederselo...
Far comprendere quando si sta bene
Le sindromi maniaco depressive, in cui la depressione si alterna a periodi di euforia e iperattività (mania), è l'aspetto toccato dal professor Davide Dèttore, psicologo clinico dell'Università di Firenze, già presidente dell'AIAMC. In questo disturbo, l'aderenza alla terapia è fondamentale perché altrimenti la propensione al suicidio, in presenza di cure carenti, è più alta che nel paziente che si controlla: il 77% in più. Lo stress è il principale detonatore del primo episodio maniacale, poi la struttura cerebrale che attiva il comportamento sembra agire autonomamente. In questi casi la psicoterapia è fondamentale per diversi aspetti, per esempio migliorare l'aderenza alla terapia: il paziente bipolare spesso ritiene di stare bene quando è in fase maniacale, perché si sente più attivo e brillante, ragion per cui tende a ridurre i farmaci che stabilizzano l'umore, come il litio. Perché con il farmaco non prova più depressione, è vero, ma nemmeno esaltazione. La psicoterapia può invece cambiare questa prospettiva, e indurre a riconoscere il vero stato di benessere. E poi può fornire la chiave per gestire autonomamente gli eventi e le situazioni disturbanti, per fare i conti con i sintomi cognitivi e comportamentali del disturbo. Questo non significa sviluppare la dipendenza dal proprio terapeuta, un po' sullo stile del rapporto perverso tra Woody Allen e il suo analista. Anzi, lo scopo di questi trattamenti è che il paziente, poi, faccia da sé. Ferma restando l'esigenza di controlli periodici.
Felicità si va cercando
Gianfranco Goldwurm, che diresse e chiuse tre ospedali psichiatrici, e ora è direttore scientifico dell'ASIPSE di Milano, come anticipato, ha affrontato il tema della felicità, definendo anche la natura della psicologia positiva. Questa disciplina è di nascita recente, ma in realtà raggruppa sotto la sua denominazione una serie di esperienze e di teorie da tempo elaborate. Della felicità, del benessere psicologico si sono occupate da sempre la filosofia e la religione. Ma mentre un tempo si risolveva la felicità nella virtù (approssimazione a dio) e successivamente, con la nascita dello stato sociale, con la garanzia di beni e servizi, oggi questo non basta più. E di qui i buchi, i punti oscuri che si sperimentano in uno stato psicologico pur accettabile. Alcuni degli studi condotti hanno dimostrato che la popolazione più "felice" è quella svizzera, ma anche qui tra gli svizzeri i più felici sono coloro, per esempio, che vivono in cantoni dove si vota più spesso. "Questo significa che la possibilità di partecipare, di poter agire sul proprio ambiente, di potersi quindi realizzare è importante. Soprattutto in un'epoca come la nostra, dove persone felici, o che potrebbero esserlo individualmente, vivono in società infelici". A questi aspetti di insoddisfazione si rivolge la psicologia positiva, che è altro da quella che cura i disturbi veri e propri e cerca soprattutto di orientare al cambiamento del proprio pensiero quando questo possa essere d'ostacolo alla pienezza del benessere. Sembra un'utopia eppure potrebbe essere la giusta alternativa a vivere la vita sinteticamente perfetta delle fiction da quattro soldi. O al cercare rifugio negli psicofarmaci. Se ne riparlerà.
Maurizio Imperiali
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