Persi nei canali

18 maggio 2007
Aggiornamenti e focus

Persi nei canali



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Detta in modo scorretto: la televisione rende ottusi o se si è ottusi si finisce per essere preda del video? La risposta non è senza conseguenze pratiche e, difatti, è al centro di un’indagine, non molto vasta come campione coinvolto, ma molto importante per la lunghezza del periodo di osservazione. I ricercatori, ovviamente, non parlavano di ottusità, e nemmeno di capacità intellettive in senso lato, ma soprattutto di capacità di attenzione e apprendimento e di attitudini verso la scuola. Lo studio è statunitense, va da sé, ma vista anche la globalizzazione della programmazione (una tragedia nella tragedia) i risultati assumono probabilmente una valenza generale.

Campione non enorme, follow-up lungo


Lo studio, dunque, è stato condotto scegliendo 678 madri appartenenti a famiglie rappresentative della popolazione di due contee dello stato di New York. Le mamme sono state selezionate nel 1975, scegliendo in modo causale uno dei loro figli di età compresa tra 1 e 10 anni. Il campione così determinato è poi stato seguito nel tempo, ripetendo una valutazione psicosociale molto approfondita in tre occasioni successive: quando la prole aveva in media 14 anni, quando ne aveva 16, poi 22 e, infine, una volta raggiunta l’età adulta, cioè 33 anni, sempre in media. La valutazione si basava su uno strumento specifico, la Diagnostic Interview Schedule for Children, alle età di 14 e 16 anni, e di una versione modificata in funzione dell’età per le interviste condotte a 22 anni. Il questionario è strutturato in due parti, una per il genitore e una per il figlio, ragion per cui i ricercatori consideravano presenti difficoltà di attenzione e apprendimento se queste venivano comunque riportate da uno dei due. La valutazione considerava anche la presenza dei sintomi del disturbo da deficit di attenzione (ADHD), e appare abbastanza ovvio. Dopodiché è stato valutato il tempo passato davanti al “simpatico” elettrodomestico, giudicato alto se superava le tre ore al giorno. Infine si è valutato l’esito scolastico sia in termini di votazione media, sia in termini di anni di scuola persi sia, infine, nel corso dell’intervista condotta a 33 anni, di conseguimento di diplomi di scuola media superiore o di laurea.

Le condizioni socioculturali della famiglia


Siccome l’uso della televisione non è l’unico fattore ambientale domestico che può essere coinvolto nella genesi dei disturbi cognitivi di bambini e adolescenti, un altro questionario è stato usato per valutare la situazione famigliare in cui si trovavano. Esiste effettivamente un’associazione tra il tempo trascorso a guardare programmi televisivi e frequenti cali di attenzione, incapacità di finire i compiti a casa, noia durante le lezioni, fallimento scolastico alle medie, alle superiori e all’università. Un’associazione che si mantiene anche controllando le altre variabili (livello socioeconomico, assistenza da parte dei genitori eccetera). Inoltre, questa associazione tra uso della tv e fallimenti scolastici alle medie riguardava sia i bambini con un livello di intelligenza verbale sotto la media sia quelli con un risultato ai test specifici superiore alla media. Nemmeno il grado di istruzione dei genitori modificava la situazione. Fin qui le cattive notizie. Quelle buone sono che se il giovane riduceva di un’ora e più le sue sedute televisive quotidiane entro i 16 anni, il rischio di disastri scolastici e di difficoltà di apprendimento si dimezzava (ma inevitabilmente raddoppiava se il tempo così impiegato aumentava). Infine, l’ultima questione: la tv si limita ad attrarre chi ha difficoltà di apprendimento? Sembra di no, perché nel campione non era possibile stabilire quante ore trascorresse davanti al teleschermo un bambino semplicemente stabilendone le capacità di attenzione e di apprendimento. Era invece possibile stabilire che chi non faceva i compiti e diceva di odiare la scuola andava a collocarsi tra i teledipendenti. Insomma: era proprio colpa della TV.

Ma i contenuti restano nell’ombra

Insomma la televisione nuoce alla formazione e alla cultura, alla capacità di leggere e comprendere. Però c’è un però: lo studio non ha valutato i contenuti cui il bambino e l’adolescente erano sottoposti. Un limite, evidentemente, anche se gli autori ritengono che, soprattutto quando di TV se ne guarda molta, il peso dei programmi esplicitamente formativi, o anche semplicemente culturali, risulti ininfluente. Eh sì: quello che lo studio dice, in sostanza, è che a ridurre attenzione, apprendimento e capacità verbali, oltre a distruggere quella che Antonio Gramsci chiamava attitudine psicofisica allo studio, sia soprattutto la televisione stupida. Scientificamente occorrerebbe una controprova: esporre i giovanissimi a programmi intelligenti; ma questa sembra una condizione difficile da ottenere. Magari in laboratorio, chissà?

Maurizio Imperiali



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