25 luglio 2007
Aggiornamenti e focus
Di padre in figlio
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I commenti si sprecano, quando si tratta di analizzare il fenomeno crescente dei comportamenti, adolescenziali e giovanili, classificabili come disordini di condotta.
D'altra parte interrogarsi è utile di fronte a casi ormai frequenti di ragazzi aggressivi o violenti (anche sessualmente), con disturbi esternalizzanti (d'opposizione e provocazione, di condotta, d'attenzione e iperattività), tendenti a furti e vandalismi, o precocemente ad alcol e altre sostanze d'abuso: comportamenti che possono preludere a successive vere devianze. Una natura familiare dei disordini di condotta è stata documentata, anche se sono stati poco sondati i meccanismi della trasmissione intergenerazionale: per esempio attraverso un'influenza diretta del modello dei genitori, o rendendo i figli a maggior rischio di sperimentare relazioni violente e abusi nell'infanzia. Interessante una ricerca australiana che ha analizzato questa trasmissione utilizzando un campione particolare e cioè famiglie di gemelli, così da considerare anche fattori genetici che in studi di comportamento hanno dimostrato un ruolo rispetto ai problemi di condotta.
Utilizzando dati dello studio Children of Twins si è infatti selezionato un gruppo di 889 famiglie di gemelli ad alto rischio per disordini di condotta, depressione maggiore e tendenze suicidarie, abuso di alcol, separazioni, contattando e valutando nei figli, dai 14 ai 39 anni, la presenza di disordini di condotta come definiti dal DSM-III-R. Nei genitori si sono considerate anche variabili come età alla nascita del primo bambino, livello d'istruzione, stato civile, fattori relativi al coniuge, quantità di sigarette fumate o di sostanze d'abuso utilizzate.
L'analisi ha mostrato un effetto di trasmissione intergenerazionale dei disordini di condotta per tutto il campione, con una specifica maggiore evidenza per i figli maschi rispetto alle femmine. In queste il numero medio di sintomi era minore se i genitori non avevano problemi comportamentali, ma nelle cugine esposte in modo diverso ai disordini di condotta dei genitori gemelli non c'erano differenze: nel complesso, i risultati per il sesso femminile deponevano per una trasmissione intergenerazionale legata maggiormente a fattori genetici. Nel caso dei maschi invece, nei quali erano tra l'altro marcate le differenze tra i cugini, la trasmissione dei comportamenti in questione è apparsa mediata soprattutto da fattori ambientali, cioè non genetici, legati ai genitori.
Naturalmente queste sono analisi difficili da condurre, per l'ampiezza delle variabili da considerare e dei possibili elementi confondenti. Se rispetto alle femmine il fattore genetico interferisce nella trasmissione dei disordini di condotta, i risultati enfatizzano invece, per gli autori, l'importanza per i maschi di aspetti peraltro già focalizzati da altre ricerche, quali divorzio dei genitori o loro eccessiva severità. Le evidenze dello studio sulle differenze tra i due sessi concordano infatti con quelle emerse da altri di una maggiore suscettibilità dei maschi a fattori di condotta parentali (l'associazione è apparsa molto più marcata per i maschi che per le femmine quando si trattava di abusi). Qui il sesso debole è dunque quello maschile: gli interventi relativi a ragazzi e giovani maschi con disordini di condotta dovrebbero quindi focalizzarsi sul ruolo svolto dal nucleo familiare oltre che su altri fattori ambientali; questo non va comunque trascurato nel caso delle femmine, nelle quali pure questi elementi compartecipano.
Elettra Vecchia
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...e inoltre su Dica33:
D'altra parte interrogarsi è utile di fronte a casi ormai frequenti di ragazzi aggressivi o violenti (anche sessualmente), con disturbi esternalizzanti (d'opposizione e provocazione, di condotta, d'attenzione e iperattività), tendenti a furti e vandalismi, o precocemente ad alcol e altre sostanze d'abuso: comportamenti che possono preludere a successive vere devianze. Una natura familiare dei disordini di condotta è stata documentata, anche se sono stati poco sondati i meccanismi della trasmissione intergenerazionale: per esempio attraverso un'influenza diretta del modello dei genitori, o rendendo i figli a maggior rischio di sperimentare relazioni violente e abusi nell'infanzia. Interessante una ricerca australiana che ha analizzato questa trasmissione utilizzando un campione particolare e cioè famiglie di gemelli, così da considerare anche fattori genetici che in studi di comportamento hanno dimostrato un ruolo rispetto ai problemi di condotta.
Fattori genetici e fattori ambientali
Utilizzando dati dello studio Children of Twins si è infatti selezionato un gruppo di 889 famiglie di gemelli ad alto rischio per disordini di condotta, depressione maggiore e tendenze suicidarie, abuso di alcol, separazioni, contattando e valutando nei figli, dai 14 ai 39 anni, la presenza di disordini di condotta come definiti dal DSM-III-R. Nei genitori si sono considerate anche variabili come età alla nascita del primo bambino, livello d'istruzione, stato civile, fattori relativi al coniuge, quantità di sigarette fumate o di sostanze d'abuso utilizzate.
L'analisi ha mostrato un effetto di trasmissione intergenerazionale dei disordini di condotta per tutto il campione, con una specifica maggiore evidenza per i figli maschi rispetto alle femmine. In queste il numero medio di sintomi era minore se i genitori non avevano problemi comportamentali, ma nelle cugine esposte in modo diverso ai disordini di condotta dei genitori gemelli non c'erano differenze: nel complesso, i risultati per il sesso femminile deponevano per una trasmissione intergenerazionale legata maggiormente a fattori genetici. Nel caso dei maschi invece, nei quali erano tra l'altro marcate le differenze tra i cugini, la trasmissione dei comportamenti in questione è apparsa mediata soprattutto da fattori ambientali, cioè non genetici, legati ai genitori.
Il sesso forte è il più suscettibile
Naturalmente queste sono analisi difficili da condurre, per l'ampiezza delle variabili da considerare e dei possibili elementi confondenti. Se rispetto alle femmine il fattore genetico interferisce nella trasmissione dei disordini di condotta, i risultati enfatizzano invece, per gli autori, l'importanza per i maschi di aspetti peraltro già focalizzati da altre ricerche, quali divorzio dei genitori o loro eccessiva severità. Le evidenze dello studio sulle differenze tra i due sessi concordano infatti con quelle emerse da altri di una maggiore suscettibilità dei maschi a fattori di condotta parentali (l'associazione è apparsa molto più marcata per i maschi che per le femmine quando si trattava di abusi). Qui il sesso debole è dunque quello maschile: gli interventi relativi a ragazzi e giovani maschi con disordini di condotta dovrebbero quindi focalizzarsi sul ruolo svolto dal nucleo familiare oltre che su altri fattori ambientali; questo non va comunque trascurato nel caso delle femmine, nelle quali pure questi elementi compartecipano.
Elettra Vecchia
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